18 ago 2014

Francisco respondió a 15 preguntas de los periodistas, en italiano

Francisco respondió a 15 preguntas de los periodistas en el vuelo de regreso de Corea. Ha hablado de la paz en Tierra Santa, sus futuros viajes, su vida y 'vacaciones' en Santa Marta. El viaje a México quizás cuando vaya a EU
Sbobinatura delle risposte di Papa Francesco sul volo Seul-Roma Saluto iniziale del Papa:
«Buon giorno grazie tante per il vostro lavoro, è stato abbastanza impegnativo e adesso c'è l’attenzione nel fare questo colloquio. Grazie tante
1) Le vittime del naufragio del traghetto Sewol e il rischio di essere strumentalizzato
«Quando tu ti trovi davanti al dolore umano, tu devi fare quello che il tuo cuore ti porta a fare. Poi diranno: ha fatto questo perché ha qualche intenzione politica. Si può dire di tutto ma quando tu pensi a questi uomini e a queste donne, a questi papà e mamme che hanno perso i figli, fratelli e sorelle... al dolore tanto grande di una catastrofe il mio cuore - io sono sacerdote, sai - mi dice che devo avvicinarmi. Lo sento così. So che la consolazione che potrei dare con una parola mia non è un rimedio, non dà vita nuova a quelli che sono morti. Ma la vicinanza umana in questi momenti ci dà forza, c’è la solidarietà. Io ricordo che come arcivescovo di Buenos Aires, ho vissuto due catastrofi: una era un incendio di una sala da ballo, un concerto di musica pop e sono morti 193 giovani. Un’altra volta era una catastrofe con i treni credo che sono mancati 120 persone. In quel tempo ho sentito lo stesso il bisogno di essere vicino. Il dolore umano è forte e se noi in questi momenti tristi ci avviciniamo, ci aiutiamo tanto. Io ho preso questo (ha indicato il fiocco giallo sulla mantellina) l’ho preso per solidarietà con loro. Qualcuno mi ha detto: è meglio toglierlo, lei deve essere neutrale. Ma quando senti il dolore umano non si può essere neutrali».

2) L'aggressione dell'Isis alle minoranze cristiane in Iraq e le bombe americane
«In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito “fermare” l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo “fermare”, non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si può fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria, quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto la vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra mondiale è stata l’idea della Nazioni Unite, là si deve discutere e dire: c’è un aggressore ingiusto? Sembra di si, e allora come lo fermiamo? Soltanto questo, niente di più. In secondo luogo, le minoranze. Grazie per aver usato questa parola. Perché a me parlano di cristiani, quelli che soffrono, i martiri. E sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutti cristiani, e tutti sono uguali
davanti a Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto che l’umanità ha ma che è anche un diritto che ha l’aggressore di essere fermato perché non faccia del male».
3) La possibilità di una visita in Iraq, nella zona del conflitto
«Io ho incontrato poco tempo fa il governatore del Kurdistan, lui aveva un pensiero molto chiaro sulla situazione, come trovare soluzioni, ma era prima dell'inizio di quest'ultima aggressione. Sono disponibile ad andare in Iraq e credo di poterlo dire: quando con i miei collaboratori abbiamo avuto notizia di questa situazione, delle minoranze religiose e anche il problema in quel momento del Kurdistan che non poteva accogliere così tanta gente. Abbiamo pensato tante cose. Abbiamo scritto prima di tutto il comunicato che ha fatto padre Lombardi. Dopo questo comunicato è stato inviato a tutte le nunziature perché fosse trasmesso ai governi. Poi abbiamo scritto al Segretario generale delle Nazioni Unite e abbiamo deciso di mandare là un inviato personale, il cardinale Filoni. Alla fine abbiamo detto se fosse stato necessario, dopo il ritorno dalla Corea, potevo andare lì, era una delle possibilità. Questa è la mia risposta: sono disponibile! In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo».
4) Il rapporto tra la Santa Sede e la Cina e la possibilità che il Papa ci vada
(Lombardi: posso comunicare che siamo sullo spazio aereo cinese in questo momento e quindi la domanda è pertinente).
«Quando all'andata stavamo sorvolando lo spazio aereo cinese, io mi trovavo nella cabina pilotaggio e uno dei piloti mi ha fatto vedere un registro, spiegandomi che mancavano dieci minuti per entrare nello spazio aereo cinese e dovevamo chiedere l'autorizzazione - sempre si deve chiedere, è una cosa normale, per ogni Paese - e ho sentito come chiedevano l’autorizzazione e come rispondevano, sono stato testimone di quel momento. Il pilota ha detto: adesso partirà il telegramma, non so come l’abbia fatto, ma l’ha fatto. Poi mi sono congedato da loro, e sono tornato al mio posto e ho pregato tanto, per quel bello e nobile popolo cinese: un popolo saggio. Penso ai grandi saggi cinesi, penso alla storia di scienza, di saggezza... Anche noi gesuiti abbiamo una storia lì... Matteo Ricci e tutte queste storie derivano da lì. Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, domani! Noi rispettiamo il popolo cinese. La Chiesa chiese soltanto la libertà per il suo ministero, per il suo lavoro. Nessun’altra condizione. Poi non bisogna dimenticare la lettera fondamentale per il problema cinese, quella che è stata inviata ai cinesi da Papa Benedetto XVI. Quella lettera oggi è attuale. Rileggerla fa bene. La Santa Sede è sempre aperta ai contatti, sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese.
5) I prossimi viaggi e la speranza di vederlo in Spagna, ad Avila, nel 2015
 «La signora presidente della Corea in perfetto spagnolo mi ha detto che la speranza è l'ultima cosa che si perde. Sperando nell’unificazione della Corea. Mi viene in mente questo, ma non è deciso. Adesso ti spiego. Quest’anno è previsto l’Albania. Alcuni dicono che il Papa ha uno stile per cominciare tutte le cose dalla periferia, ma io vado in Albania per due motivi importanti. In primo luogo perché qui sono riusciti a fare un governo - pensiamo ai Balcani - un governo di unità nazionale, tra islamici, ortodossi, cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. Io ho sentito la mia presenza come se fosse una aiuto da quel popolo nobile. L'altro motivo è questo: pensiamo alla storia dell’Albania, l’unico dei paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a messa era anticostituzionale! E poi mi diceva uno dei ministri che sono state distrutte - voglio essere preciso nella cifra - 1.820 chiese, ortodosse e cattoliche. E poi in quel tempo altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo. Io ho sentito che dovevo andare, e in un giorno si fa. Poi l’anno prossimo vorrei andare a Philadelphia all’incontro della famiglie e anche sono stato invitato dal Presidente degli Stati Uniti al Parlamento americano e anche dal Segretario delle Nazioni Unite a New York - forse le tre città insieme, Philadelphia, Washington e New York- I messicani vogliono che in quella occasione io vada anche alla Madonna di Guadalupe (Città del Messico) e si può approfittare, ma non è sicuro. E alla fine la Spagna. I reali mi hanno invitato, l’episcopato mi ha invitato, ma c’è una pioggia di inviti per andare in Spagna... Forse è possibile, si può andare dal mattino si può andare al pomeriggio, sarebbe possibile, ma non è deciso, questa è la risposta grazie».
6) Che rapporto ha con Benedetto XVI?
«Ci vediamo. Prima di partire sono andato a trovarlo. Due settimane prima mi ha inviato uno scritto interessante, mi chiedeva un'opinione. Abbiamo un rapporto normale. Perché intorno a questa idea, che forse non piace a qualche teologo -io non sono teologo - penso che il Papa emerito non sia una eccezione. Dopo tanti secoli c'è il primo emerito... La sua rinuncia è stata proprio un bel gesto, di nobiltà, umiltà e coraggio. Ma io penso: 70 anni fa i anche i vescovi emeriti erano una eccezione, non esistevano, mentre oggi sono una istituzione. Io penso che il Papa emerito sia già una istituzione, perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca... La salute forse è buona ma non c’è più la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa.... Papa Benedetto ha fatto questa scelta. Può darsi che qualche teologo mi dica che questo non è giusto, ma io la penso cosi. I secoli diranno se è così o no. E se io non me la sentissi di andare avanti? Farei lo stesso. Pregherò, ma credo che farei lo stesso. Lui ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale. Siamo fratelli, e ho già
 detto che è come avere il nonno a casa, per la sua saggezza. È un uomo di saggezza, di nuance. Mi fa bene sentirlo. E lui mi incoraggia abbastanza”.
7. Cosa ha provato quando ha salutato stamattina le sette “donne di conforto”? Lei verrà a Nagasaki il prossimo anno?
«Sarebbe bellissimo, bellissimo! Sono stato invitato sia dal governo che dall’episcopato. Le sofferenze... Lei torna su una delle prime domande. Il popolo coreano è un popolo che non ha perso la dignità. E stato un popolo invaso, umiliato. Ha subito guerre, ed è diviso. Con tanta sofferenza. Ieri quando sono andato all’incontro con i giovani, ho visitato il museo dei martiri. È terribile la sofferenza di questa gente. (Martirizzati) semplicemente per non aver voluto calpestare la croce. È una sofferenza storica. Ha capacità di soffrire, questo popolo, è parte della sua dignità. Anche oggi c’erano queste donne anziane davanti, a messa. Pensare che con l’invasione sono state da ragazze portate via, nelle caserme, per sfruttarle. Loro non hanno perso la dignità. Oggi erano lì, mostrando la faccia, donne anziane, le ultime rimaste. È un popolo forte nella sua dignità. Ma tornando ai queste cose dei martiri, alle sofferenze, e di queste donne: questi sono i frutti della guerra! E oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: lei sa, padre, che siamo nella terza guerra mondiale, ma fatta a pezzi. A capitoli. È un mondo in guerra dove si fanno queste crudeltà. Vorrei fermarmi su due parole. La prima è crudeltà. Ora i bambini non contano! Una volta si parlava di una guerra convenzionale, ora questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano cosa buona, no. Ma oggi va la bomba e ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino con la donna, la mamma: ammazza tutti. Ma vogliamo fermarci a pensare un po’ al livello di crudeltà a cui siamo arrivati? E questo ci deve spaventare. Non è per fare paura. Il livello di crudeltà della umanità in questo momento è da spaventare un po’».
«L’altra parola è tortura. Oggi la tortura è uno dei mezzi dire quasi ordinari nei comportamenti dei servizi di intelligence e in alcuni processi giudiziari... E la tortura è un peccato contro l’umanità, un delitto contro umanità. Ai cattolici dico: torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave. Ma è di più: è un peccato contro l’umanità. Crudeltà e tortura. Mi piacerebbe tanto che voi nei vostri media faceste una riflessione su qual è oggi il livello di crudeltà dell'umanità e cosa pensate della tortura. Credo ci farebbe bene a tutti riflettere su questo».
8) Lei ha una vita molto impegnativa, molto serrata. Poco riposo, niente vacanze. Viaggi massacranti. C’è da preoccuparsi da ritmo che lei tiene?
«Sì, qualcuno me lo ha detto. Io ho passato le vacanze a casa, come faccio di solito. Una volta io ho letto un libro, interessante, che s'titolava: "Rallegrati di essere nevrotico". Anche io ho alcune nevrosi e bisogna curarle bene eh? La mia è che sono
 un po’ troppo attaccato al mio habitat. L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori, con la comunità gesuita, è stato nel 1975. Poi sempre faccio vacanze, ma nel mio habitat, cambio ritmo: dormo di più, leggo cose che mi piacciono, sento musica, prego di più. E questo mi riposa. A luglio tante volte ho fatto questo. È vero, il giorno che ho dovuto andare al Gemelli, fino a dieci minuti prima dovevo partire ma non ce la facevo. Erano stati giorni molto impegnativi. Adesso so che devo essere più prudente. Tu hai ragione...»
9) Quando la folla diceva Francesco, Francesco, a Rio, lei rispondeva Cristo, Cristo. Oggi lei come gestisce questa immensa popolarità? Come la vive?
«Io la vivo ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice, augurando al popolo il meglio. La vivo come generosità del popolo, quello vero.. Interiormente cerco di pensare ai miei peccati, ai miei sbagli, per non “credermela” (espressione in lingua spagnola che equivale a: "credersi importante"), perché io so che questo durerà come me, due o tre anni e poi... alla casa del Padre! La vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa al vescovo che è il pastore del popolo per manifestare tante cose. La vivo più naturalmente di prima, perché mi spaventava un po’».
10) Come vive in Vaticano, al di là del lavoro?
«Cerco di essere più libero. Ci sono appuntamenti di ufficio di lavoro, la vita per me è la più normale che si possa fare. Mi piacerebbe uscire ma non si può, ma non si può. Poi a Santa Marta faccio la vita normale di lavoro, di riposo, chiacchiere... Se mi sento prigioniero? No. All’inizio sì, ma sono caduti alcuni muri... per esempio, per ridere: il Papa non poteva scendere in ascensore da solo, subito qualcuno veniva ad accompagnarlo! "Ma tu vai al tu posto che io scendo in ascensore da solo! È finita la storia, e così eh.. la normalità, una normalità»
11. La sua squadra, il San Lorenzo, è diventata campione di America per la prima volta, come lo sta vivendo?
«È una buona notizia, dopo il secondo posto del Brasile! L’ho saputo a Seul, me lo hanno detto. E mi hanno detto che mercoledì vengono all’udienza pubblica. Per me il San Lorenzo è la squadra di cui tutta la mia famiglia era tifosa».
12) La prossima enciclica dedicata alla salvaguardia del creato
«Di questa enciclica, ho parlato tanto con il cardinale Turkson e anche con altri e ho chiesto al Turkson di raccogliere tutti i contributi arrivati. Prima del viaggio, il cardinale mi ha consegnato la prima bozza. È grossa così (fa gesto ampio, ndr), un terzo di più dell’Evangelii Gaudium. È la prima bozza. Si tratta di un problema non facile perché sulla custodia del Creato, anche l’ecologia - c’è una ecologia umana - si
può parlare con una certa sicurezza solo fino ad un certo punto. Poi vengono le ipotesi scientifiche, alcuni abbastanza sicure, altre no. E una enciclica che deve essere magisteriale deve andare avanti soltanto sulle sicurezze, sulle cose che sono sicure. Se il Papa dice che il centro dell’universo è la terra e non il sole, sbaglia perché dice una cosa che scientificamente non va. Così succede adesso, dobbiamo fare lo studio paragrafo per paragrafo. Credo che diventerà più piccola perché bisogna andare all’essenziale, è quel che si può affermare con sicurezza. Si può mettere nelle note a pie' di pagina che su questo c’è questa ipotesi o quest'altra. Ma darlo come informazione, non nel corpo di un’enciclica che è dottrinale e deve essere sicura».
(Padre lombardi: abbiamo fatto 12 domande si vuole fermare e vuole andare a mangiare? Facciamo un altro giro?)
Papa: «Dipende dalla loro fame»
13) Una nuova domanda sulle «donne di conforto» costrette e sulla divisione della Corea
«Oggi queste donne erano lì perché malgrado tutto quello che hanno sofferto hanno dignità e hanno messo la faccia. E ho pensato questo, ho pensato alla guerra e alle crudeltà delle guerre a queste donne sono state sfruttate, sono state schiavizzate sono crudeltà tutto questo. Ho pensato alla dignità che loro hanno e anche quanto hanno sofferto e la sofferenza è un’eredità. I primi martiri della Chiesa dicevano che il sangue dei martiri è seme di cristiani , voi coreani avete seminato tanto tanto, per coerenza. Si vede adesso il frutto di quella semina dei martiri. Sulla Corea del Nord so che è una sofferenza, una la so sicuro, che ci sono alcuni parenti, tanti parenti che non possono ritrovarsi, questo fa soffrire, quello è vero. È una sofferenza di quella divisione del paese, oggi in Cattedrale, dove io ho indossato i paramenti per messa, c’era un regalo che mi hanno fatto, una corona di spine di Cristo, fatta con il filo di ferro che divide le due parti dell’unica Corea. E lo portiamo sull’aereo, ma è un regalo che io lo porto... la sofferenza della divisione di una famiglia divisa. Io come ho detto ieri, parlando ai vescovi, lo ricordo: abbiamo ancora speranza, le due Coree sono sorelle e parlano la stessa lingua. Quando si parla la stessa lingua è perché si ha la stessa madre e questo ci da speranza. La sofferenza della divisione è grande. Io capisco e prego perché finisca».
14) la beatificazione dell'arcivescovo salvadoregno Oscar Romero
«La causa era bloccata, si diceva per prudenza, alla Congregazione della dottrina della fede. Adesso è sbloccata. È passata alla Congregazione per i santi e segue la strada normale di un processo, dipende di come si muovono i postulatori. È molto importante di farlo in fretta. Perché io quello che vorrei è che si chiarisca quando c’è
il martirio in odium fidei, sia per confessare il Credo, sia per fare le opere che Gesù ci comanda con il prossimo. Questo è un lavoro dei teologi che lo stanno studiando. Dietro Romero c’è Rutilio Grande e ci sono altri. Altri che sono stati uccisi che non sono della stessa altezza di Romero, si deve distinguere teologicamente tutto questo. Per me Romero è un uomo di Dio. Si deve continuare processo, il Signore deva dare un suo segno, se Lui lo vuole fare, lo farà. Adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono più impedimenti».
15) Il fallimento della preghiera per la pace: subito dopo i missili e le bombe su Gaza

«La preghiera per la pace assolutamente non è stato un fallimento: in primo luogo non era un'iniziativa uscita da me, l’iniziativa di pregare insieme è venuta dai due presidenti, dal presidente dello Stato di Israele e dal presidente dello Stato di Palestina. Loro mi hanno fatto arrivare questa inquietudine. Poi potevamo farla là durante il viaggio, ma non si trovava il posto giusto, il costo politico per ognuno sarebbe stato molto forte, se andava da una parte o dall'altra. La nunziatura era un posto neutrale, ma per arrivare in nunziatura il presidente dello stato di Palestina doveva entrare in Israele, la cosa non era facile. E loro mi hanno detto facciamo in Vaticano, noi veniamo. Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio e hanno vissuto tante cose brutte, tante cose brutte, e sono convinti che l’unica strada per risolvere la questone è il negoziato, il dialogo, la pace. La sua domanda adesso: E’ stato un fallimento? Io credo che la porta sia aperta. Tutti quattro con i rappresentanti, Bartolomeo, Patriarcadell’ortodossia, ma non vorrei usare termini che forse non piacciono a tutti gli ortodossi, con il Patriarca Ecumenico si voleva proprio che fosse comune la forza della preghiera, e si diceva, si deve pregare è un dono di Dio, la pace è un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E dire all’umanità che anche la sala del negoziato che è quella importante è la sala della preghiera. Dopo questo è arrivato quello che è arrivato. Ma questo è congiunturale. Quell’incontro non era congiunturale è un passo fondamentale dell’atteggiamento umano, una preghiera. Adesso il fumo delle bombe delle guerre non lasciano vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. Ma io credo in Dio, credo nel Signore, quella porta è rimasta aperta e chiediamo che Lui ci aiuti. Ma mi piace quella domanda grazie, grazie per averla fatta».

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