PROCEDIMENTO PENALE PRESSO IL TRIBUNALE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO NEI CONFRONTI DEL SIGNOR PAOLO GABRIELE: REQUISITORIA DEL PROMOTORE DI GIUSTIZIA E SENTENZA DI RINVIO A GIUDIZIO PRONUNCIATA DAL GIUDICE ISTRUTTORE
· REQUISITORIA DEL PROMOTORE
DI GIUSTIZIA
UFFICIO DEL PROMOTORE DI GIUSTIZIA
Prot. N. 8/12 Reg. Gen. Pen.
All’Illustrissimo
Signor Giudice Istruttore
SEDE
Signor Giudice Istruttore
SEDE
REQUISITORIA DEL PROMOTORE DI GIUSTIZIA
Sommario: 1) Rapporti della Polizia
Giudiziaria e perquisizioni regolarmente autorizzate; 2) Prosecuzione delle
indagini in istruttoria formale; 3) Pluralità di reati ed ordine della loro
trattazione nell’istruttoria; 4) Fatti costituenti furto aggravato contestati a
Gabriele Paolo; 5) gli artt. 46 e 47 del codice penale ed il problema
dell’imputabilità del Gabriele; 6) La relazione peritale del Prof. Roberto
Tatarelli e quella del secondo perito Prof. Tonino Cantelmi; 7) La
responsabilità del Gabriele; 8) Fatti costituenti reato contestati allo
Sciarpelletti Claudio e sua responsabilità; 9) Richieste del Promotore di
Giustizia.
1) Rapporti
della Polizia Giudiziaria e perquisizioni regolarmente autorizzate
Con
rapporto del 3 febbraio 2012 pervenuto a questo Ufficio il 6 febbraio 2012
(Prot. n. 8/12 Reg. Gen. Pen.), il direttore dei Servizi di Sicurezza e
Protezione Civile riferì al sottoscritto Promotore di Giustizia notizie diffuse
in Italia, sulla rete televisiva La7, nella trasmissione televisiva "Gli
Intoccabili" ed altre notizie apparse sulla stampa italiana circa la
pubblicazione di corrispondenze riservate inerenti il «caso (…)», nonché alcuni
altri fatti (…). Poiché si trattava di gravi reati, il Direttore presentò
«denuncia contro ignoti per la commissione di delitti contro lo Stato e
i poteri dello stesso, calunnia e diffamazione». Questo
Ufficio provvide immediatamente ad iniziare le non facili indagini, anche a
mezzo della Polizia Giudiziaria.
Successivamente
il Sommo Pontefice provvide a nominare una Eminentissima Commissione
Cardinalizia con il compito di svolgere, in via amministrativa, un’«indagine
autorevole sulla fuga di notizie e la divulgazione di documenti coperti dal
segreto d’ufficio».
Il 20
maggio 2012 veniva presentato in Italia il libro del giornalista Gianluigi
Nuzzi dal titolo Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI. Il 23
maggio perveniva a questo Ufficio altro rapporto con il quale il Direttore dei
Servizi di Sicurezza e Protezione Civile sollevava sospetti nei confronti del
Signor Paolo Gabriele, Aiutante di Camera di Sua Santità, quale responsabile di
furto aggravato di documenti riservati che erano stati forniti al Nuzzi.
Contemporaneamente il predetto Direttore richiedeva al Promotore di Giustizia
l’autorizzazione a procedere alla perquisizione personale, domiciliare, nonché
dell’ufficio del Gabriele. Il sottoscritto, con provvedimento dello stesso 23
maggio, autorizzava la Polizia Giudiziaria a procedere alla predetta
perquisizione, nonché, con provvedimento nella stessa data, a procedere altresì
all’analisi forense delle apparecchiature informatiche, cine-fotografiche, e
dei telefoni cellulari o fissi in possesso del predetto Gabriele.
Con
ulteriore rapporto del 24 maggio il predetto Direttore segnalava che a pag. 132
del libro di Nuzzi era pubblicato un documento che avrebbe potuto essere stato
divulgato da (…) e richiedeva l’autorizzazione alla perquisizione personale e
degli ambienti in uso al predetto (…). Autorizzazione che il sottoscritto
accordava.
Con
rapporto 24 maggio 2012 il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione
Civile informava, poi, questo Ufficio che, a seguito della perquisizione a
carico del Gabriele, era stato rinvenuta una enorme quantità di documenti,
alcuni dei quali, di proprietà e di stretto interesse della Santa Sede e dello
Stato della Città Vaticano, risultavano, già ad un primo esame, pubblicati nel
libro del Nuzzi. Su autorizzazione di questo Ufficio si procedeva, quindi,
all’arresto del Gabriele, arresto immediatamente convalidato dal sottoscritto,
che, nella stessa data, autorizzava la Polizia Giudiziaria a provvedere ad una
analisi preliminare della documentazione sequestrata.
Con
rapporto 25 maggio 2012 il Direttore dei predetti Servizi segnalava, inoltre,
che il signor Claudio Sciarpelletti risultava avere avuto continui contatti con
il Gabriele e – previa autorizzazione del sottoscritto - veniva quindi
eseguita, nello stesso giorno 25 maggio, una ulteriore perquisizione, nei
locali della Segreteria di Stato, e delle relative pertinenze in uso allo
Sciarpelletti. Anche questa perquisizione dava esito positivo, in quanto
venivano sequestrati ulteriori documenti rilevanti ai fini della presente
procedura. Contestati, quindi, i reati di falsa testimonianza, concorso
reale nel reato di furto aggravato di documenti, favoreggiamento, nonché il
reato di violazione dei segreti, lo Sciarpelletti veniva posto in stato
di arresto(Prot. n. 19/12 Reg. Gen. Pen.).
Il
sottoscritto Promotore di Giustizia (Prot. n. 19/12 Reg. Gen. Pen.), in data 26
maggio, interrogato l’imputato, gli ha, peraltro, concesso la libertà
provvisoria, previa cauzione e con l’obbligo di osservare alcune prescrizioni,
disponendo, inoltre, la riunione del presente procedimento a quello Prot. n.
8/12 Reg. Gen. Pen. a carico di Gabriele Paolo, per connessione.
2) Prosecuzione
delle indagini in istruttoria formale
Poiché a
questo punto, già si configuravano gravi reati di competenza del Tribunale e
due imputati posti in stato di arresto, il sottoscritto Promotore di Giustizia,
già con provvedimento del 24 maggio 2012, richiedeva l’apertura
dell’istruttoria formale ai sensi dell’artt. 187 e segg. c.p.p. Le ulteriori
indagini sono, quindi, proseguite sotto la direzione del Giudice Istruttore e
con la presenza del sottoscritto Promotore di Giustizia, nella sola funzione di
pubblico ministero.
3) Pluralità
di reati ed ordine della loro trattazione nell’istruttoria
La
Polizia giudiziaria, con i rapporti sopra ricordati, ha provveduto a denunciare
a questo Ufficio tutta una serie di reati: delitti contro lo Stato (art.
104 e ss. C.p.); delitti contro i poteri dello Stato (art.117 ess. C.p.); vilipendio
delle istituzioni dello Stato (art. 126 C.p.); calunnia (art.
212 C.p.); diffamazione (art. 333 C.p.); furto aggravato (artt.
402, 403 e 404 C.p.); concorso di più persone in reato (art. 63 C.p.); favoreggiamento(art.
225 C.p.); inviolabilità dei segreti (art. 159 C.p.).
In tale
situazione l’istruttoria si presentava complessa e laboriosissima e, quindi,
suscettibile di durare per un periodo molto lungo.
Si è
posta, pertanto, la necessità di stabilire un ordine nella trattazione dei vari
capi di accusa ed il Signor Giudice Istruttore, su parere conforme di questo
Ufficio, ha dato la precedenza al furto aggravato, anche, perché, per
tale reato vi erano due imputati in stato di detenzione.
Contestati
i fatti preveduti dalla legge come reato, effettuate le perquisizioni, sentiti
i testimoni, proceduto agli interrogatori degli imputati, espletata la perizia,
il sottoscritto ritiene che, nell’economia dei giudizi, si possa ormai chiudere
l’istruttoria formale, limitatamente al solo reato di furto aggravato e nei
confronti degli imputati Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti, restando,
ovviamente, aperta l’istruttoria per i restanti fatti costituenti reato nei
confronti dei predetti imputati, e/o di altri. Per questo motivo il Promotore
di Giustizia, ai sensi dell’art. 266 c.p.p., chiede la parziale chiusura
dell’istruzione formale.
4) Fatti
costituenti furto aggravato contestati a Gabriele Paolo
Il 19
maggio 2012 è stato pubblicato il già citato volume di Gianluigi Nuzzi Sua
Santità. Il 21 successivo si è svolta una riunione della "Famiglia
Pontificia", riunione di cui era preventivamente informato il Santo Padre.
Erano presenti Mons. Georg Gänswein, Segretario particolare di Sua Santità,
Mons. Alfred Xuereb, Prelato d’Onore di Sua Santità, Suor Birgit Wansing, le
quattro memores e Paolo Gabriele.
Mons.
Georg Gänswein, dopo aver riferito che nel volume erano inseriti documenti
riservati, ha chiesto a ciascuno dei presenti se avesse consegnato documenti al
giornalista (teste M, una delle memores, 18 luglio 2012, doc. 138 del
fascicolo d’Ufficio). A fronte delle risposte negative dei presenti, Mons.
Georg Gänswein ha fatto presente al Gabriele che «due lettere pubblicate nel
volume Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI certamente lui
(Gabriele) aveva avuto per le mani in quanto (egli Mons. Georg Gänswein) aveva
chiesto a lui di preparare una risposta e che inoltre non erano uscite
dall’ufficio. Gli ho anche indicato un appunto di P. Lombardi relativo al caso
(…) che certamente non era uscito dall’ufficio. Avendogli detto davanti a tutti
che questo, pur non dando la prova, creava un forte sospetto nei suoi
confronti, ho avuto come risposta una negazione decisa e assoluta del fatto»
(teste Gänswein 18 luglio 2012, doc. 136, del presente fascicolo). La teste O
(stessa data, doc. 135) ha precisato, in proposito, che «egli (il Gabriele) non
soltanto ha negato in modo fermo e deciso ogni sua responsabilità ma ha chiesto
con molta meraviglia come questi sospetti fossero potuti nascere nella mente di
Mons. Georg Gänswein ». Circostanze queste, confermate dalle testi M, già
citata, e N, un’altra delle memores (stessa data, doc. 137).
Una volta
arrestato, il 24 maggio 2012, Paolo Gabriele - assistito dai difensori di
fiducia, avvocati Carlo Fusco e Cristiana Arru - è stato interrogato, per la
prima volta, dal Giudice Istruttore. Pur avendo dichiarato di aver «deciso di
dare la mia collaborazione ai fini dello scoprimento della verità», alle
specifiche domande del Giudice si è, peraltro, avvalso della facoltà di non
rispondere ed il Giudice Istruttore ha confermato lo stato di arresto,
contestandogli il reato di furto aggravato (art. 402 e ss. c.p.) in stato di
flagranza (art. 168 c.p.p.).
Interrogato
una seconda volta nei giorni 5 e 6 giugno, il Gabriele ha successivamente
risposto alle predette domande del Giudice. In particolare, in ordine ai
documenti di proprietà della Santa Sede reperiti presso la sua abitazione, egli
ha dichiarato di aver «proceduto alla duplicazione dei documenti fotocopiandoli
in ufficio e successivamente portandoli a casa. Negli ultimi tempi, quando la
situazione è degenerata, provvedevo, per non restare senza copie, alla loro
duplicazione attraverso la fotocopiatrice inserita nella stampante del computer».
In effetti «non ho conservato alcun documento originale in quanto
altrimenti ne sarebbe stata notata la mancanza». L’imputato ha aggiunto: «anche
se il possesso di tali documenti è cosa illecita ho ritenuto di doverlo
effettuare spinto da diverse ragioni». Oltre agli interessi personali, fra i
quali quello per l’intelligence, «ritenevo che anche il Sommo Pontefice
non fosse correttamente informato». «Vedendo male e corruzione dappertutto
nella Chiesa… ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere
salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario… In qualche modo
pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui
mi sentivo in certa maniera infiltrato» (verbale del 5 giugno 2012, doc. n.
46).
Quanto
alla successiva diffusione dei predetti documenti, l’imputato ha dichiarato:
«ho scelto la persona del Nuzzi come interlocutore a preferenza di altri
soprattutto per l’impressione che aveva destato in me il volume Vaticano
S.p.A. Il Nuzzi mi dava fiducia perché mi sembrava persona preoccupata di
dare informazioni senza gettare fango e senza calunniare altre persone». Il
Gabriele ha, quindi, precisato le modalità con le quali ha rintracciato, in
Italia, il Nuzzi e gli incontri con lui – sempre in territorio italiano – fra
novembre 2011 e gennaio 2012 «a distanza di circa una settimana e poi di due
settimane... successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di
intensità». L’imputato ha, quindi, dichiarato di aver consegnato al Nuzzi i
documenti a più riprese e che non aveva «mai ricevuto denaro o altri benefici».
Il Nuzzi, del resto, gli aveva detto «che non era solito avere documentazione a
pagamento». Il giornalista gli ha fatto anche un’intervista televisiva con
«tutte le precauzioni necessarie affinché io non venissi riconosciuto», ma
questa intervista è stata trasmessa solo in parte (verbale del 6 giugno 2012,
doc. n. 47).
Il
Gabriele ha, inoltre, precisato che «dei documenti consegnati a Nuzzi ho fatto
fotocopie che ho consegnato al padre spirituale B», asserendo che «fra le
copie» consegnate al Nuzzi e quelle consegnate a B «ci fosse una identità»,
salvo eventuali diversità meramente casuali. Pertanto «le carte rimaste a casa
(e sequestrate a seguito della perquisizione) sono sostanzialmente un
rimasuglio disordinato dovuto al caos di documenti che avevo con me» (verbale
del 5 giugno citato). Il 28 giugno 2012 è stato, quindi, convocato quale
testimone B, il quale ha confermato di aver ricevuto dal Gabriele, tra il
febbraio ed il marzo 2012, una serie di documenti conservati in una scatola con
lo stemma pontificio, di cui non aveva conosciuto il contenuto. Nell’affidare
tali documenti il Gabriele non ebbe a porgli alcuna condizione, ma si limitò a
dirgli che «si trattava di documenti molto importanti che riguardavano la Santa
Sede». B ha dichiarato di averli conservati per qualche giorno per poi
bruciarli in quanto, soprattutto, «sapevo che…erano il frutto di una attività
non legittima e non "onesta" e temevo che se ne potesse fare uso
altrettanto non legittimo e "onesto" (doc. n. 33).
Nell’ultimo
interrogatorio del 21 luglio (doc. n. 142) il giudice Istruttore ha, fra
l’altro, fatto presente che nel volume Sua Santità del Nuzzi sono stati
riprodotti documenti non rinvenuti tra quelli reperiti, in sede di
perquisizione, nella casa del Gabriele. Gli ha chiesto, quindi, se fosse stato
lui a fornirglieli. In via esemplificativa il Giudice ha fatto riferimento ai
documenti riprodotti alle pagg. 286, 288, 296, 304-305 e 310, aggiungendo, alla
fine, il doc. 293 sulla questione dell’ICI. Per ognuno di questi documenti
l’imputato ha dichiarato di essere stato lui a fornirli al giornalista. Ha
trovato così conferma quanto da lui dichiarato nel secondo interrogatorio il 5
giugno nel quale aveva precisato che i documenti rintracciati nella
perquisizione costituiscono solo «un rimasuglio» (doc. n. 46).
Il
Giudice istruttore ha, inoltre, contestato al Gabriele il ritrovamento a casa
sua, in corso della perquisizione, di tre oggetti a lui non appartenenti:
1) Un
assegno bancario di Euro 100.000,00 (centomila/00) intestato a Santidad Papa
Benedicto XVI, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San
Antonio di Guadalupe;
2) Una
pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal Signor Guido del Castillo,
direttore dell’ARU di Lima (Perù);
3) Una
cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel
1581, dono a Sua Santità delle "Famiglie di Pomezia".
Il
Gabriele ha riferito «nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare
anche questo».
Il
Giudice Istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche
i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio.
L’imputato
ha risposto: «Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e
altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza
del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre
beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di
questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune
suore e ciò fu da me portato a conoscenza di Mons. Alfred Xuereb. Mons.
Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In
particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione
particolare per questi. Per quanto riguarda l’edizione dell’Eneide ricordo che
avendo mio figlio cominciato lo studio di quel poema chiesi a Mons. Gaenswein
se potevo far vedere il libro al professore di mio figlio. Lui mi disse di sì
ed il libro rimase a casa mia in attesa di essere restituito».
5) Gli
artt. 46 e 47 del codice penale ed il problema dell’imputabilità del Gabriele
Preliminarmente,
a questo punto, si pone il problema dell’imputabilità del Gabriele. Come è
noto, imputare in diritto penale significa attribuire la violazione d’un
reato ad un determinato individuo, l’imputato è colui che è, o si
presume, fornito di capacità penale. Imputazione giuridica è, quindi,
l’atto di autorità con cui il magistrato attribuisce la violazione di un
precetto penale ad una determinata persona, provocando con ciò l’intervento
della garanzia giurisdizionale, diretta all’accertamento della verità in
relazione al fatto, alle circostanze di esso e alla sua causalità, per decidere
se sia fondata o meno la pretesa punitiva dello Stato.
L’art. 46
del codice penale, in proposito, stabilisce che «non è punibile colui che, nel
momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente
(c.n.) da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti
(c.n.)».
«Il
Giudice, nondimeno, ove stimi pericolosa (c.n.) la liberazione
dell’imputato prosciolto, ne ordina la consegna all’Autorità competente per i
provvedimenti di legge».
Si
tratta, del resto, di un principio risalente. Nello Stato pontificio, il Regolamento
sui delitti e sulle pene di Papa Gregorio XVI (1832) stabiliva, all’art.
26, che: «non sono da imputarsi a delitto le commissioni ed omissioni contrarie
alla legge … §. I. se seguirono nello stato di pazzia saltuaria nel tempo
dell’alienazione di mente, e nel tempo di pazzia continua».
Ancor
prima l’art. 64 del codice penale napoleonico del 1810 recitava:
«non vi ha crimine né delitto, allorché l’imputato trovavasi in istato di
pazzia quando commise l’azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale
non poté resistere».
La
formula utilizzata nel codice vigente appare preferibile, rispetto alle
precedenti, in primo luogo perché il riferimento, di cui all’art. 46, all’infermità,
insieme a quello della coscienza e libertà dei propri atti, consente un
giudizio di imputabilità più completo, o, come si suol dire, a due piani: l’uno
di carattere empirico, legato, appunto, al concetto di infermità di mente,
l’altro di carattere più propriamente normativo, collegato alla coscienza e
libertà dei propri atti.
In
secondo luogo, il riferimento al concetto di infermità di mente,
consente di utilizzare un termine più onnicomprensivo, che appare maggiormente
opportuno, perché riesce ad assorbire formule più risalenti, quali quelle
relative alla pazzia, all’imbecillità e, ancor prima, alla previsione
romanistica de dementibus, in cui si distinguevano i mente capti
ed i furiosi. La menzione della coscienza o libertà dei propri atti,
implica che, affinché il soggetto non sia punibile, è sufficiente che
l’infermità di mente abbia eliminato anche uno soltanto dei due requisiti in
questione, come può desumersi facilmente dall’utilizzo della disgiuntiva «o»
fra la coscienza e la libertà dei propri atti.
L’aver
collegato la coscienza o la libertà dei propri atti al concetto di infermità
di mente, induce, inoltre, a ritenere che disturbi psichici o semplici
passioni che non hanno rilevanza clinica, pur se possono incidere in qualche
maniera sulla libertà dei propri atti, non posseggono l’efficacia di escludere
l’imputabilità, in quanto non rientrano in un preciso quadro morboso.
L’imputabilità
del soggetto, come sopra intesa, è, in sostanza, uno stato della persona
che – come precisa l’art. 46 – deve esistere, «nel momento in cui ha commesso
il fatto», perché questo è il momento di cui egli deve rispondere.
I
principi stabiliti dall’art. 46 del nostro codice penale trovano
sostanzialmente corrispondenza nei grandi modelli di legislazione penalistica
del XX secolo. Basti ricordare il § 51 del codice penale tedesco, che richiede,
quale presupposto dell’imputabilità, uno stato di coscienza e di sanità
psichica che consentano la libera determinazione della volontà, nonché
l’art. 81 del vigente codice penale italiano, secondo il quale è imputabile chi
ha la capacità di intendere e di volere.
Come è
noto, su queste basi normative, fra il XIX ed il XX secolo, si è sviluppata
un’imponente elaborazione teorica che ha trasformato l’imputabilità in uno dei
problemi più ardui e più dibattuti del diritto penale, perché esso ha
strettissimi legami con la questione della natura e della funzione della stessa
pena.
A
giudizio di questo ufficio, al di là delle diverse scuole di pensiero, la
soluzione del problema dell’imputabilità non può prescindere dai caratteri
peculiari dei diversi ordinamenti. Per quanto riguarda l’ordinamento vaticano,
il fondamento va indubbiamente ricercato nell’art. 1 della legge 1° ottobre
2008 n. LXXI, sulle fonti del diritto, secondo il quale «l’ordinamento
giuridico vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa
e il primo criterio di riferimento normativo». A sua volta, il can. 1322 del Codex
iuris canonici stabilisce che «qui habitualiter rationis usu carent, etsi
legem vel praeceptum violaverint dum sani videbantur, delicti incapaces
habentur». In altri termini, coloro che abitualmente non hanno l’uso di ragione
sono ritenuti incapaci di delinquere. Anche se avessero violato la legge o il
precetto penale in un lucido intervallo, dovrebbero sempre ritenersi non
imputabili, e non soltanto da presumersi come tali. E’, del resto, un principio
risalente nel diritto canonico che alla pena tradizionalmente ricollega il fine
etico della riabilitazione del colpevole: «si furiosus aut dormiens nomine
mutilet vel occidat – recitava la Clementina – nullam ex hoc irregularitatem
incurrit» (Clementinae Constitutiones, um. de hormic. III, 4). In
sostanza, nella situazione radicale in cui manchi l’uso della ragione non può
esservi atto umano e, quindi, libertà di intendere e di volere, intesa come
capacità di autodeterminarsi. Il concetto del libero arbitrio - che
viene a identificarsi con la volontà «essendo proprio della medesima potenza il
volere e lo scegliere» (San Tommaso, Summa Theol., I, q. 83 a. 4) - è il
primo presupposto dell’imputabilità: «tunc actus imputatur agenti, quando est
in potestate ipsius, ita quod habeat dominium sui actus» (San Tommaso, Summa
Theol., I, II al, 9-21 a. 1). Anche eventuali lucidi intervalli sarebbero
semplicemente momentanee attenuazioni dell’infermità di mente e, come tali, non
potrebbero costituire fondamento di imputabilità.
Ne
consegue che l’ordinamento vaticano, in via principale, recepisce la teoria
classica che per lungo tempo ha dominato sovrana e tuttora ha numerosi ed
autorevoli seguaci, secondo la quale fondamento dell’imputabilità è la libertà
del volere, il libero arbitrio. Il Cardinale Francesco
Roberti De delictis et poenis, Romae s.d., p. 86 scriveva, già ai suoi
tempi, «oportet enim ad effectum poenarum ut qui actum posuit, eundem perfecte
cognoverit et libere voluerit». La pena, in quanto è castigo, presuppone che l’uomo
sia stato causa cosciente e libera del fatto commesso: in altri termini,
presuppone che egli abbia consapevolmente scelto il male, mentre aveva la
possibilità di orientarsi verso il bene; abbia preferito il vizio al posto
della virtù. Ora, questa libertà di scelta (o di elezione) fa difetto negli
individui che non hanno un sufficiente sviluppo intellettuale o sono affetti da
gravi anomalie psichiche: essi non sono liberi e, perciò, non possono essere
puniti. La responsabilità penale trova, così, il suo fondamento primo nella valutazione
morale dell’azione, e, più precisamente, nella coscienza e libertà dei propri
atti. Si aggiunga che, quando la libertà, pur non essendo esclusa, è
notevolmente limitata (come avviene nei semi-infermi di mente, in alcune
categorie di minori, di ubriachi ecc.), la pena per ragioni di equità deve
essere diminuita (art. 47 c.p.).
Fermo il
principio secondo cui l’imputabilità trova il suo primo fondamento nella coscienza
e libertà dei propri atti, cioè nel libero arbitrio, e che gli infermi di
mente non vanno quindi puniti perché non imputabili dei fatti loro compiuti,
non può, però, escludersi che la loro liberazione possa rappresentare un
pericolo per la comunità e per loro stessi. Pertanto, l’art. 46 del codice
penale, al secondo comma, fa obbligo al magistrato di valutare, anche la
pericolosità dell’indiziato di reato, al fine di stabilire un equilibrio nei
rapporti fra individuo e collettività e, in tal modo, difendere pure la società
da eventuali possibili nocumenti.
In questo
quadro normativo le indagini in tema di imputabilità seguono una triplice
direttrice. Innanzitutto, va accertato se il Gabriele fosse infermo di mente
e, come tale, avesse la coscienza e la libertà dei propri atti, sia nel
momento in cui ha commesso il fatto, che successivamente ovvero se il suo stato
di mente fosse tale da «scemare grandemente l’imputabilità». In secondo luogo,
le indagini devono valutare se il predetto Gabriele debba essere considerato socialmente
pericoloso. Infine, rimane da stabilire se il periziando sia suggestionabile
e capace di ideazioni criminose eterodirette.
6) La
relazione peritale del Prof. Roberto Tatarelli e quella del secondo perito
Prof. Tonino Cantelmi
Nella
Camera di Consiglio del 6 giugno 2012, a seguire all’interrogatorio
dell’imputato, il Promotore di Giustizia ha richiesto, ex artt. 208, 211 e 213
c.p.p., che il signor Giudice istruttore disponga una perizia psicologica e
psichiatrica sull’imputato. I difensori di quest’ultimo si sono associati alle
richieste del sottoscritto ed hanno, a loro volta, chiesto l’autorizzazione a
proporre un secondo perito (doc. n. 47). Il giudice Istruttore, con
provvedimento del 9 giugno successivo, ha nominato, quale perito d’ufficio, il
Prof. Roberto Tatarelli dell’Università La Sapienza di Roma (doc. nn. 54 e 55),
che si è avvalso dell’aiuto del dott. Paolo Roma, psicologo clinico (doc. n.
61). Quale secondo perito è stato poi nominato il Prof. Tonino Cantelmi, della
Pontificia Università Gregoriana, che si è avvalso, quale collaboratrice, della
dott.ssa Martina Aiello, psicologa e fisioterapeuta (doc. n. 71).
Ai periti
sono stati posti i seguenti quesiti:
a) se il
predetto Gabriele nel periodo 2011-2012, ed attualmente, era ed è in tale stato
di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti;
b) se il
predetto Gabriele sia attualmente persona socialmente pericolosa;
c) se il
predetto Gabriele sia soggetto suggestionabile e capace di ideazioni criminose
auto e/o eterodirette.
Le
operazioni peritali sono state articolate in tre colloqui clinici. Nel terzo
colloquio si è proceduto anche alla somministrazione di reattivi mentali a cura
del Dott. Roma che, nell’allegato alla relazione del Prof. Tatarelli, ha
riferito sui protocolli dei reattivi somministrati ed ha svolto un’analisi
psicodiagnostica.
Il Prof.
Tatarelli, sulla base degli accurati esami eseguiti, ha sostenuto che nel
periziando «non si rilevano disturbi di significato clinico sia
nell’area attentiva, sia in quella mnestica, sia nell’intelligenza». Ne
consegue che – sempre secondo il Prof. Tatarelli – dall’«esame psichico non si
rilevano segni e sintomi "che possano indicare una sindrome
psichiatrica maggiore"».
In
particolare, dall’analisi psicodiagnostica redatta dal dott. Roma a seguito dei
reattivi somministrati, è risultato che "Il signor Gabriele si
caratterizza per un’intelligenza semplice in una personalità fragile con derive
paranoide a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno
irrisolto di godere della considerazione e dell’affetto degli altri. Accanto ad
elementi di sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del
pensiero e dell’azione (meticolosità, perseverazione), sentimento di colpa e
senso di grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a favore di un
personale ideale di giustizia. La necessità di ricevere affetto può esporre il
soggetto a manipolazioni da parte degli altri ritenuti suoi amici ed
alleati".
Sulla
base delle complessive operazioni peritali compiute, il Prof. Tatarelli
perviene, quindi, alla conclusione che il Gabriele risulta caratterizzato da «elementi
marcatamente distonici della personalità. Tali elementi non sono facilmente
rilevabili all’esame psichico di routine, ma emergono con ampia evidenza
nel colloquio prolungato, libero e a contestazione, nonché, ancor più efficacemente,
dal risultato dei reattivi mentali. In tal senso si può affermare che il
periziando sia affetto da un’ideazione paranoide con sfondo di
persecutorietà, per lungo tempo adeguatamente compensata nello stile di
vita del sig. Gabriele».
La
personalità del sig. Gabriele «si caratterizza anche per un profondo bisogno di
ricevere attenzione e affetto da parte degli altri» che lo porta ad «andare
incontro ai bisogni ed alle necessità di chi si mostra con lui accogliente,
amichevole, e disponibile a dimostrargli stima e confidenza. In questo caso il
Gabriele può essere soggetto a manipolazioni da parte di coloro che mostrano
gli atteggiamenti ora indicati».
«Questa
condizione personologica è ulteriormente accentuata e rinforzata dalla
semplicità cognitiva riscontrata nel soggetto, confermata anche dal risultato
dei reattivi somministrati».
Conseguentemente
il Prof. Tatarelli ha, quindi, risposto ai quesiti che gli sono stati posti nel
modo seguente:
a) La
condizione personologica riscontrata non configura un disturbo di mente tale da
abolire la coscienza e la libertà dei propri atti;
b) In
considerazione della pervasività della condizione personologica riscontrata si
ritiene il periziando ancora socialmente pericoloso pur se nello specifico
ambito dei reati ascrittigli;
c) Tenuto
conto dell’assetto personologico si considera il periziando suggestionabile e
quindi in grado di commettere azioni che possano danneggiare se stesso c/o
altri.
Il
secondo perito Prof. Cantelmi ha ritenuto che «gli elementi conoscitivi tratti
dall’indagine clinico-testologica …delineano un’organizzazione personologica
affetta da un’identità incompleta ed instabile, da suggestionabilità, da
sentimenti di grandiosità, da alterata rigidità morale con un personale ideale
di giustizia, nonché da un pervasivo bisogno di essere apprezzato e stimato».
«Tali
aspetti personologici – secondo il Prof. Cantelmi – hanno reso il periziando
fortemente inadeguato ad assolvere alle mansioni lavorative ricoperte dallo
stesso in quanto nel corso di esse si è manifestata la sua incapacità a
comprendere l’effettiva natura del suo incarico fino a sviluppare sentimenti di
grandiosità e disorganizzazione ideativa», che, in definitiva, hanno abolito
nel Gabriele la coscienza e la libertà delle proprie azioni.
Il Prof.
Cantelmi ha, quindi, risposto ai quesiti del Giudice Istruttore nel modo
seguente:
a) La
deformazione dei processi ideativi del Gabriele ha abolito la coscienza e la
libertà dei propri atti;
b) Gli
accertamenti peritali svolti non hanno rilevato sul Gabriele segni o sintomi
che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso;
c) Il
periziando, pur essendo apparso suggestionabile su alcune specifiche
circostanze, non ha manifestato segni, sintomi e comportamenti che lo rendono
un soggetto socialmente pericoloso e dunque in grado di commettere azioni tese
a danneggiare se stesso o altri».
Quest’Ufficio
deve, quindi, procedere all’esame delle due opposte conclusioni dei periti,
alla luce del dato normativo, il più volte citato art. 46 C.p.
Quanto
allo «stato di infermità di mente», va, innanzitutto osservato
che il secondo perito, nell’indagine anamnestica, riferisce ulteriori,
interessanti elementi attinenti alla storia personale del Gabriele, elementi
che, peraltro, sembrano costituire elementi di vita non specificatamente
patogeni e, quindi, senza particolare rilevanza del punto di vista delle
«infermità di mente». Ne consegue che, su questo primo punto, non possono che
essere accolte le conclusione del perito d’ufficio in ordine all’inquadramento
psicopatologico del periziando, secondo le quali il Gabriele presenta «elementi
marcatamente distonici della personalità», in quanto affetto da un’«ideazione
paranoide con sfondo di persecutorietà», nonché la precisazione che in esso
«non si rivelano disturbi di significato clinico…che possono indicare una
sindrome psichiatrica maggiore».
Né va
condivisa la motivazione del Prof. Cantelmi circa la «forte inadeguatezza» del
periziando ad «assolvere alle mansioni lavorative ricoperte». Ciò è
contraddetto, innanzitutto, dalle risultanze del fascicolo personale del
Gabriele, acquisito agli atti (doc. n. 132 132/A), nel quale risultano
autorevoli valutazioni di «lodevole servizio», nonché «fervidi auguri per la
prosecuzione del suo discreto e responsabile servizio» e nessuna nota negativa.
In secondo luogo, le testimonianze rese il 18 luglio 2012 da altri componenti
della "Famiglia Pontificia" , sono, anche esse, di segno opposto:
«adempiva il suo lavoro cercando di farlo nel modo migliore possibile», (teste
O; doc. n. 135); «Lo vedevo tutti i giorni alla S. Messa e durante i pasti.
L’ho visto come una persona del tutto normale, un padre di famiglia», (teste N,
doc. 137).
Passando
all’esame della coscienza o della libertà dei propri atti, che
potrebbero risultare abolite (art. 46) o grandemente ridotte (art. 47), secondo
il Prof. Cantelmi la deformazione dei processi ideativi del Gabriele avrebbe
del tutto abolito sia la coscienza che la libertà degli atti da lui compiuti.
Anche tale conclusione non può essere condivisa. Il Gabriele aveva piena
coscienza dei propri atti ed ha deliberatamente deciso di compiere l’azione
criminosa, come è dimostrato dalle sue stesse dichiarazioni, nel secondo
interrogatorio reso il 5 giugno 2012 in ordine alla sottrazione e successiva
cessione dei documenti riservati di proprietà della Santa Sede. Egli ha,
infatti, dichiarato: «anche se il possesso di tali documenti è cosa illecita
[i.e. piena coscienza del disvalore sociale dell’atto] ho ritenuto di doverlo
effettuare [i.e. liberamente ho scelto di compiere l’atto illecito], spinto da
diverse ragioni». Si aggiunga che, da ultimo, il Gabriele ha chiesto perdono al
Santo Padre, ribadendo così, implicitamente la coscienza e volontà di aver
compiuto l’atto criminoso.
Né può
dirsi che la «deformazione dei processi ideativi» richiamata dal secondo perito
potrebbe, comunque, aprire la strada alla diminuzione di pena ex art. 47 c.p.,
perché tale norma richiede che lo stato di mente sia tale da «scemare grandemente
l’imputabilità», mentre nella specie, come si è visto, l’ideazione paranoide
non costituisce nemmeno una sindrome psichiatrica maggiore e non si vede,
comunque, come la «deformazione dei processi ideativi» possa determinare una
«grande» riduzione dell’imputabilità.
Anche su
questo punto, l’Ufficio del Promotore di Giustizia non può non aderire alle
conclusioni del Prof. Tatarelli, pur completandole nel senso che la condizione
personologica riscontrata non figura un disturbo di mente tale da abolire o diminuire
grandemente la coscienza e la libertà di tali atti.
Il Prof.
Cantelmi sostiene, poi, che gli accertamenti peritali non hanno rilevato sul
Gabriele segni e sintomi che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso.
Dall’istruttoria
risulta, invece, che il Gabriele si considerava – e si considera tuttora – una
sorta di inviato della Provvidenza, che gli avrebbe affidato, nel luogo in cui
si assumono le più alte decisioni, il ruolo di «infiltrato» dello Spirito
Santo, «per riportare la Chiesa nel suo giusto binario», così come ha
dichiarato egli stesso nel già citato interrogatorio del 5 giugno (doc. n. 46).
Il suo pensiero appare fortemente critico su alcune vicende ed alcuni
personaggi che sarebbero autori di raggiri e sopraffazioni. In considerazione
della pervasità della condizione personologica del Gabriele permane, pertanto,
la sua pericolosità, cioè, la possibilità che l’imputato compia di nuovo reati.
È noto
che la pericolosità può essere «generica, nel senso cioè che può
riguardare qualunque forma di reato, o specifica, in quanto l’imputato
rileva una capacità a delinquere limitata ad una sola e particolare forma di
reato»; può essere inoltre «una particolarità assoluta, nel senso che la
sua attività criminosa si sviluppa sotto l’influenza di stimoli criminogeni di
qualsiasi genere ed in ogni tempo e luogo; o una pericolosità relativa in
quanto è portato a delinquere solo sotto l’influenza di particolari stimoli
criminogeni e soltanto in alcuni luoghi e in alcuni periodi di tempo» (cfr. DI
TULLIO, Principi di criminologia clinica, Roma 1954, p. 399).
Il Prof.
Tatarelli sostiene che ci troviamo in presenza di una forma di pericolosità
specifica, in quanto considera il Gabriele ancora pericoloso, «pur se nello
specifico ambito dei reati ascrittigli». Questo Ufficio condivide tale giudizio
prognostico, ma aggiunge che si tratta anche di una pericolosità relativa,
in quanto legata ad alcuni luoghi, in cui si valutano ed assumono decisioni di
portata generale.
Il Prof.
Cantelmi sostiene, infine, che il Gabriele pur essendo apparso suggestionabile
su alcune specifiche circostanze, non ha manifestato segni, sintomi, e
comportamenti che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso e dunque in
grado di commettere azioni tese a danneggiare se stesso o altri. Questo Ufficio
rileva che il nesso tra suggestionabilità e pericolosità è unidirezionale. È
vero che, in quanto suggestionabile, il Gabriele potrebbe essere indotto da
altri a mettere in essere comportamenti socialmente pericolosi. Non è vero il
contrario: l’imputato pericoloso non è sempre suggestionabile. Nelle specie,
esistono – come si è visto – già inequivoci elementi che portano a ritenere il
Gabriele, di per sé, caratterizzato da una pericolosità sociale specifica e
relativa. A questo si aggiunga la sua suggestionabilità (ammessa dallo stesso
perito di parte) e, quindi, la probabilità di ulteriori forme di pericolosità,
indotte da altri.
La verità
è che, indipendentemente dalla pericolosità sociale, il Gabriele, per
l’organizzazione stessa della sua personalità, ha, come evidenziato dal Prof. Tatarelli,
«un profondo bisogno di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri» ed
è, pertanto, esposto – come è stato comprovato dai reattivi mentali – a
eventuali «manipolazioni da parte degli altri suoi amici ed alleati».
Ne
consegue che – ad avviso di questo Ufficio – il Gabriele va considerato
soggetto suggestionabile e, come tale, in grado di commettere anche azioni
eterodirette che possono danneggiare se stesso e/o altri.
7. La
responsabilità del Gabriele
Una volta
ritenuta l’imputabilità del Gabriele, in questa sede rimane da valutare
l’esistenza dei fatti e dei reati, nonché la responsabilità dell’imputato.
Valutazione non per decidere. La dimostrazione che il fatto o il reato, esista,
o non, o che l’imputato sia, o non, responsabile è compito del Tribunale. In
sede di istruttoria ci si deve limitare a verificare se - sulla base delle
prove e delle difese raccolte – l’imputato debba essere sottoposto al giudizio
pubblico del Tribunale (MORTARA ALOISI, Spiegazione pratica del codice di
procedura penale, Vol. I, Torino 1917, pp. 542 e 543).
A questi
fini vanno esaminati due ordini di fatti che costituiscono ipotesi di reato: i
documenti e gli altri oggetti di proprietà della Santa Sede:
a) Quanto ai documenti, come si è
riferito (v. retro, sub 4), negli interrogatori del 5 e 6 giugno 2012
(doc. 46 e 47), il Gabriele ha confessato di essersi impossessato di documenti
di proprietà della Santa Sede, di averli fotocopiati e di averne, poi,
disposto, consegnandone copia al giornalista Gianluigi Nuzzi ed altra copia a
B. Il primo, ebbe a pubblicare alcuni dei documenti ricevuti, il secondo ha
dichiarato di averli tutti bruciati.
A
differenza dei sistemi processuali del passato nei quali veniva considerata la
«regina delle prove», aveva, pertanto, un valore probatorio assoluto ed era
spesso sfociata negli odiosi metodi dell’inquisizione, la confessione nel
codice di procedura penale vigente nel Vaticano non assume alcuna forza
decisiva, come, invece, nel giudizio civile (art. 91, § 2, Cod. proc. civ.).
Nella relazione al c.p.p. è scritto, infatti, «la stessa confessione può
facilitare la ricerca (della prova), ma per se medesima non la esaurisce» (pag.
85). La confessione nel giudizio penale si converte, pertanto, in un indirizzo
che, come tale, deve essere certo, esplicito e spontaneo (MANZINI, Trattato
di diritto processuale penale italiano, 2° ed., vol III, Torino 1924, pp.
344 segg.).
Nel caso
in esame, la confessione è certa: l’imputato, sorpreso in flagranza di
reato nella perquisizione domiciliare, ha pienamente confessato al Giudice
Istruttore competente a riceverla. La confessione è esplicita: il
Gabriele ha reso una dichiarazione nella quale, pur ritenendo
l’impossessamento, e la successiva divulgazione dei documenti de quibus,
illecita, ha specificato la volontà ed i motivi per cui ha commesso il reato. La
confessione è spontanea: il Giudice Istruttore si è limitato a chiedere
all’imputato «se possa spiegare il possesso presso la sua abitazione di
documenti di proprietà della Santa Sede» (interrogatorio del 5 giugno 2012,
doc. 46). Non vi è stata, pertanto, posta alcuna domanda suggestiva o capziosa
ed il Gabriele ha spontaneamente confessato il fatto costituente reato.
Una volta
stabilito che la confessione, nella specie, è certa, esplicita e spontanea,
occorre, infine, accertare la sua credibilità oggettiva e soggettiva (MANZINI, Trattato
di diritto processuale penale, vol. III, op. cit., p. 347).
Quanto
alla credibilità oggettiva, la giurisprudenza che si era formata sul
codice vigente in questo Stato aveva già chiarito che «la confessione di reità
implica ammissione non solo dal fatto materiale, ma anche della colpevolezza,
così che non può il giudice ritenere colpevole l’imputato sulla sola
confessione del fatto materiale» (Cassazione italiana 11 settembre 1918, in
"La procedura penale" 1919, p. 64). Nel caso in esame il Gabriele non
ha confessato soltanto il fatto materiale di essersi impossessato di documenti
altrui. Egli era pienamente consapevole della sua colpevolezza («anche se il
possesso di tali documenti è cosa illecita, ho ritenuto di doverlo effettuare»,
dichiarazione del 5 giugno, doc. 46). La sua confessione è, poi, in coerenza e
concordanza con gli altri elementi di prova (le risultanze della perquisizione
ed il volume Sua Santità acquisito agli atti). Ne consegue che non
sussiste dubbio alcuno sulla credibilità oggettiva della confessione,
dell’imputato. Quanto alla credibilità soggettiva il Gabriele, negli
interrogatori, del 5 e 6 giugno (doc. 46 e 47), ha esplicitato anche i moventi e
lo scopo della confessione e – come accertato dalla perizia del Prof. Tatarelli
– ha piena consapevolezza e libertà dei propri atti. Non può, pertanto, essere
messo in discussione il suo animus confitendi e quindi neppure la credibilità
soggettiva della sua confessione.
b) Quanto alle altre cose trafugate
di proprietà della Santa Sede, il Giudice Istruttore, all’udienza del 21 luglio
2012 (doc. 142), ha contestato all’imputato di essersi impossessato di un
assegno bancario di 100.000,00 euro intestato a Sua Santità; una pepita
presunta d’oro ed una cinquecentina dell’Eneide tradotta da Annibal Caro,
oggetti reperiti nel corso della citata perquisizione domiciliare a carico del
Gabriele.
Questi,
alla contestazione, si è limitato a dichiarare «nella degenerazione del mio
disordine è potuto capitare anche questo». Poi ha cercato di giustificarsi
dicendo che era stato autorizzato a far vedere la cinquecentina al professore
di suo figlio, che aveva iniziato lo studio dell’Eneide e che, quindi, gli
oggetti erano rimasti nella sua casa, «in attesa di essere restituiti». La
giustificazione appare poco credibile, sia perché non riguarda l’assegno e la
pepita, sia perché l’assegno reca la data del 26 marzo 2012 e la perquisizione
è avvenuta il 24 maggio 2012.
A parte la
sostanziale ammissione dell’imputato, la prova della responsabilità del
Gabriele è nell’osservazione giudiziale immediata (MANZINI, op. cit.,
vol. III, pp. 160 ss.) dei risultati della perquisizione, avvenuta in forma
ufficiale e nel modo prescritto dalla legge, risultati, per se stessi,
comprovanti fatti costituenti reato, per il luogo nel quale si trovavano e per
la loro connessione con i documenti trafugati.
A
giudizio di questo Ufficio l’imputato è, pertanto, responsabile del reato di
furto per essersi «impossessato di cose mobili» della Santa Sede senza il
consenso della stessa (art. 402 C.p.).
Si
tratta, però, di un furto caratterizzato da due autonome specifiche circostanze
aggravanti. Innanzitutto, esso è stato commesso in «uffici, archivi e stabilimenti
pubblici, sopra cose in essi custodite» (art. 403 n. 1 C.p.) e la
giurisprudenza ha chiarito che, in questo caso, le «ragione dell’aggravante» è
la «maggiore malvagità congiunta alla maggiore facilità che la natura stessa
del luogo offre per la perpetrazione del furto» (Cassazione Unica italiana 20
luglio 1894, in "Riv. Pen." XL, p. 398, n. 1898). In secondo luogo,
il furto è stato «commesso con abuso della fiducia derivante da scambievoli
relazioni d’ufficio» (art. 404, n. 1) e la giurisprudenza ha precisato che è il
fondamento giuridico di questa seconda aggravante è, invece, la tutela dei
rapporti di fiducia, per cui «la parola ufficio usata dall’art. 404, n.
1, non può avere altro significato che di relazioni inducenti fiducia»
(Cassazione Unica italiana 14 giugno 1893 in "Corte Suprema" 1893, p.
472.
Il
Promotore di Giustizia, pertanto, ritiene che, allo stato delle prove, Paolo
Gabriele vada, pertanto, rinviato a giudizio per furto aggravato.
8) Fatti
costituenti reato contestati allo Sciarpelletti Claudio e sua responsabilità
Come
riferito al § 1 di questa requisitoria, il 25 maggio 2012, debitamente
autorizzata, veniva eseguita una perquisizione nei locali della Segreteria di
Stato e delle relative pertinenze in uso allo Sciarpelletti (Prot. n. 19/12
Reg. Gen. Pen.). All’interno del cassetto della scrivania lasciato aperto
veniva reperita una busta recante, sulla parte dell’intestazione,
"Personale P. Gabriele" e, sul retro, timbro a secco della Segreteria
di Stato Ufficio Informazioni e Documentazioni. All’interno si trovava diverso
materiale di interesse per le indagini in corso ed, in particolare, una
relazione dal titolo "Napoleone in Vaticano" , riprodotta dal Nuzzi
nel Volume Sua Santità (doc. 1, all. 2/A del fascicolo n. 19/12).
La
Polizia Giudiziaria, ritiene che lo Sciarpelletti aveva tenuto un comportamento
contraddittorio e reticente, alle ore 19 del 25 maggio, procedeva al suo
arresto, denunciandolo all’Autorità Giudiziaria per i reati di falsa
testimonianza (art. 214 C.p.), concorso reale nel reato di furto aggravato di
documenti della Santa Sede (art. 63 e 402 C.p.), favoreggiamento (art. 225
c.p.) e violazione di segreti (art. 159 C.p.).
Il
Promotore di Giustizia, la mattina del 26 maggio, procedeva, quindi,
all’interrogatorio dell’imputato, assistito dal suo difensore di fiducia, Avv.
Gianluca Benedetti, e gli concedeva la libertà provvisoria, previa cauzione e
con l’obbligo di osservare talune prescrizioni. Il 16 giugno successivo, il
sottoscritto, ritenuto che i fatti contestati allo Sciarpelletti sono connessi
al procedimento a carico del Gabriele, trasmetteva gli atti al signor Giudice
Istruttore per il prosieguo delle indagini con le modalità dell’istruzione
formale.
Il
Giudice Istruttore, nell’interrogatorio del 28 giugno (doc. 94), ha provveduto
a contestare allo Sciarpelletti i reati di concorso nel reato di furto
aggravato (artt. 63 e 402 ss. C.p.), di favoreggiamento (art. 225 C.p.) e di
violazione di segreti (art. 159 C.p.).
Il
sottoscritto Promotore di Giustizia, con la richiesta di chiusura parziale
della procedura, osservava che lo Sciarpelletti effettivamente ha tenuto un
comportamento ondivago e contraddittorio. La mattina del 25 maggio lo
Sciarpelletti ha dichiarato alla Polizia Giudiziaria di non avere «una
particolare amicizia» con il Gabriele «ma solo un buon rapporto di lavoro»
(all. 1/1 sempre del proc. 19/12 Reg. Gen. Pen.). Durante la perquisizione è
stato lui ad indicare agli inquirenti il cassetto della sua scrivania nel quale
è stata reperita la busta contenente i documenti di particolare interesse per
le indagini in corso (doc. 94 e deposizione dei testi D, doc. n. 109 e L, doc.
134). La sera dello stesso giorno, dopo l’arresto, l’imputato ha dichiarato
spontaneamente alla Polizia Giudiziaria che era stato Gabriele a consegnargli
tutto il materiale contenuto nella busta «affinché io gli esprimessi un
parere…Era mia intenzione aprirla e leggerla, ma non l’ho mai fatto perché la
cosa non mi interessava più di tanto e a distanza di tempo, me ne sono
dimenticato (all. 1/4 del procedimento n. 19/12».
Il 26
mattina, interrogato dal sottoscritto Promotore di Giustizia, lo Sciarpelletti
ha invece dichiarato che «la busta…non mi è stata consegnata dal Sig. Paolo
Gabriele e la parola scritta "Personale P. Gabriele" è stata da me
apposta…Questa busta…mi fu consegnata da W affinché io la conservassi e la
consegnassi a Paolo Gabriele. La busta mi è stata consegnata circa due anni fa
ed è rimasta sempre chiusa e nella mia scrivania. Francamente io me ne ero
dimenticato in quanto nessuno me l’aveva chiesta» (doc. 2 sempre del proc. n.
19/12).
Il 29
maggio 2012 lo Sciarpelletti ha peraltro, spontaneamente dichiarato alla
Polizia Giudiziaria «mi ricordo di aver ricevuto una busta con appositi
timbri…da W…per consegnarla al Sig. Gabriele e dove ho scritto in calce
"Personale P. Gabriele" . Mi ricordo, solo ora, di aver ricevuto una
busta simile, sempre chiusa, con apposti alcuni timbri…, di cui ignoro il
contenuto, da parte di X», aggiungendo «per il mio lavoro…capita di portare
corrispondenza per l’aiutante di camera e per i segretari del Santo Padre»
(doc. 4, all. n. 1, sempre del proc. n. 19/12).
Il 28
giugno, interrogato dal giudice Istruttore (doc. 94), l’imputato ha precisato i
rapporti che intratteneva col Gabriele «anche fuori dal lavoro» e che, a volte,
coinvolgevano le rispettive famiglie. Egli era a conoscenza anche della «vita e
(dell’)infanzia dolorosa di Paolo Gabriele» Quanto alla busta rinvenuta nel suo
cassetto, Sciarpelletti ha dichiarato «presumo, ma non ne sono assolutamente
certo,…che si trattò della busta affidatami da W per Paolo Gabriele»; «vicenda
diversa» era, invece, quella della busta affidatagli da X a dicembre 2011 o a
gennaio 2012.
Il
Gabriele nell’interrogatorio del 21 luglio (doc. 142) ha, a sua volta, precisato
di aver con lo Sciarpelletti «un rapporto di amicizia…ci incontravamo anche
fuori e con le famiglie, anche a casa dello Sciarpelletti» ed ha dichiarato di
essere stato lui a dare la busta con i documenti allo Sciarpelletti «perché mi
desse il suo parere su quei documenti» e non perché fossero consegnati ad altra
persona, aggiungendo, altresì, «lo Sciarpelletti non mi ha dato mai nulla».
Ad avviso
del sottoscritto Promotore di Giustizia, nel caso in esame, non risultano prove
sufficienti a stabilire che l’imputato abbia concorso nel reato di furto
aggravato (art. 403, n. 1 e 404, n. 1 C.p.) e manca del tutto la prova che lo
stesso abbia commesso il reato di violazione ai segreti di cui all’art. 159
C.p. Questo ufficio chiede, pertanto, alla S.V. ill.ma di voler emanare, ex
art. 274, co. 2, c.p.p., sentenza istruttoria di non doversi procedere
nei confronti di Sciarpelletti Claudio per i reati di cui sopra. La sentenza
di assoluzione anche per difetto o insufficienza di prove è riservata,
infatti, al collegio ex art. 421, co. 2, C.p.p., Differenza di formule
che si riannodano alle «diversità delle due sentenze», quanto alle rispettive
funzioni (MORTARA ALOISI, Spiegazione pratica del C.p.p., op.cit., vol.
I p. 542 e 557 ss.; vol. II, pp. 160 -161).
Claudio
Sciarpelletti, va, invece, rinviato a giudizio per il reato di favoreggiamento.
L’art.
225 del Codice penale vigente sanziona, in effetti, colui che, non avendo preso
parte al reato antecedente e non avendo contribuito a portarlo a conseguenze
ulteriori, tiene, comunque, uno dei due seguenti comportamenti:
a) «aiuta taluno ad assicurarne il profitto»;
b) aiuta
taluno «a eludere le investigazioni dell’autorità ovvero a sottrarsi
alle ricerche della medesima o all’esecuzione della condanna» o ancora «sopprime
o in qualsiasi modo disperde o altera le tracce o gli indizi di un delitto».
Nelle due
fattispecie diverso è l’oggetto della tutela giuridica. Nel primo caso, è
tutelato principalmente l’interesse generale ad impedire che sia prestato ai
delinquenti una forma di collaborazione destinata a far diventare definitivi i
vantaggi da essi illegittimamente conseguiti. Nella seconda fattispecie,
l’ordinamento tutela, invece, le investigazioni dell’autorità e le ricerche
della Polizia Giudiziaria e, quindi, l’interesse dell’Amministrazione della
Giustizia al regolare svolgimento del processo penale, perché i fatti che lo
integrano tendono a fuorviare o ad articolare l’attività di accertamento e
repressione dei reati.
Nel
vigente diritto italiano queste due specie di favoreggiamento sono state
successivamente separate, facendone due distinti tipi di reato, qualificati, il
primo, «favoreggiamento reale» (art. 379 Cod. pen. ital. Vigente) e il secondo
«favoreggiamento personale» (art. 378). Cfr. per tutti, ANTOLISEI, Manuale
di diritto penale, 16^ ed. (parte speciale II, Milano 1992 pp. 479 ss. E,
in particolare, GELARDI, L’oggetto giuridico del favoreggiamento come dover
essere del processo, Padova 1993, con ampi riferimenti alla dottrina
italiana e tedesca, che lo viene ormai configurando come reato offensivo
dell’interesse dell’Amministrazione della Giustizia al regolare svolgimento del
processo penale).
Tornando
all’art. 225 del codice vaticano, non par dubbio che le differenti,
contraddittorie dichiarazioni rese dallo Sciarpelletti integrano la fattispecie
prevista dalla norma, sopra descritta sub b, in questo hanno inciso
negativamente sull’attività istruttoria, eludendo le investigazioni
dell’autorità e recando intralcio, in particolare, alle indagini della Polizia
Giudiziaria ed alle relative ricerche.
9) Richieste
del Promotore di Giustizia
Tutto ciò
premesso e considerato, il Promotore di Giustizia
c h i e d e
che
l’Ill.mo Signor Giudice Istruttore voglia:
1)
dichiarare, ai sensi dell’art. 266 C.p.p., la parziale chiusura
dell’istruttoria formale;
2)
disporre, ai sensi degli artt. 237 e ss., il sequestro e la modalità di
custodia dei documenti rintracciati nel corso delle perquisizioni di cui in
narrativa;
3)
emanare, ai sensi degli artt. 273 e ss. C.p.p. sentenza con la quale:
a)
rinviare a giudizio avanti al Tribunale l’imputato Paolo Gabriele per
rispondere del reato di furto aggravato (artt. 402, 403 n. 1 e 404 n. 1 C.p.);
b) non
doversi procedere nei confronti dell’imputato Sciarpelletti Caludio per
insufficienza di prove o per mancanza di prove in ordine ai reati di concorso
in furto aggravato ( artt. 63, 402, 403 n. 1 e 404 n. 1 C. p.) e di violazione
di segreti (art. 159 C.p.):
c)
rinviare a giudizio Sciarpelletti Claudio per rispondere del reato di favoreggiamento
(art.225 C.p.).
Città del
Vaticano, 4 agosto 2012
IL PROMOTORE DI GIUSTIZIA
(Prof. Avv. Nicola Picardi)
[01053-01.01]
[Testo originale: Italiano]
IL GIUDICE ISTRUTTORE
presso il
Tribunale dello Stato della Città del Vaticano
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
procedimento prot. N. 8/12 Reg. Gen. Pen.
a carico
1) – di
Paolo Gabriele, nato a Roma il 19 agosto 1966, cittadino vaticano, residente
nello Stato della Città del Vaticano, Aiutante di Camera di Sua Santità
imputato
del reato
di furto aggravato, ai sensi degli art. 402, 403, 1° e 404, 1° c. p., difeso in
giudizio dagli avv. Carlo Fusco e Cristiana Arru;
2) – di
Claudio Sciarpelletti, nato a Roma il 29 Luglio 1964, cittadino italiano,
dipendente della Segreteria di Stato
imputato
dei reati
di concorso nel reato di furto aggravato, ai sensi degli art. 63, 402, 403, 1°,
404, 1° c.p.; di favoreggiamento, ai sensi dell’art. 225 c. p. e di violazione
di segreto, ai sensi dell’art. 159 c. p., difeso in giudizio dall’avv. Gianluca
Benedetti
SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA ISTRUTTORIA
1. Con un rapporto del 3. II. 2012,
depositato in Cancelleria il 6. II del medesimo anno [doc. 1 del fascicolo
d’ufficio], il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile riferiva
al Promotore di giustizia notizie diffuse in Italia da una emittente televisiva
[La7, in una trasmissione "Gli Intoccabili"] e da organi di stampa
riguardanti la pubblicazione di documenti riservati attinenti vicende relative
ad organismi e personalità – oltre che della Chiesa cattolica – dello Stato
della Città del Vaticano. Poiché questi fatti potevano configurare gravi
ipotesi criminose, il medesimo Direttore presentava denuncia «contro ignoti per
la commissione di delitti contro lo Stato e i poteri dello stesso, calunnia e
diffamazione». L’Ufficio del Promotore di giustizia provvedeva a dar corso
immediato alle indagini, che si presentavano difficili e complesse, tramite la
Polizia giudiziaria.
Il Sommo
Pontefice Benedetto XVI costituiva, il 31. III. 2012, una Commissione
cardinalizia con la funzione di svolgere, in via amministrativa, un’
"indagine autorevole sulla fuga di notizie e la divulgazione di documenti
coperti dal segreto d’ufficio".
Il 20. V.
2012 veniva presentato in Italia il libro di Gianluigi Nuzzi dal titolo
"Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI". Con rapporto
depositato in Cancelleria il 23. V. 2012 [doc. 6 del fascicolo d’ufficio], il
Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile, in base a taluni gravi
elementi indiziari, sollevava motivati sospetti nei riguardi del sig. Paolo
Gabriele, Aiutante di Camera di Sua Santità, quale responsabile di furto
aggravato della documentazione riservata trasmessa al giornalista Gianluigi
Nuzzi, richiedendo allo stesso Promotore di giustizia l’autorizzazione a
procedere ad una perquisizione del domicilio e dell’ufficio del sig. Paolo
Gabriele. Il Promotore di giustizia, con provvedimento posto in calce alla
richiesta, autorizzava la Polizia giudiziaria ad effettuare la perquisizione
richiesta e delegava la stessa Polizia giudiziaria a procedere anche
all’analisi forense delle apparecchiature informatiche, cine-fotografiche, e
dei telefoni fissi e cellulari in possesso del medesimo sig. Paolo Gabriele.
Il
Direttore del Servizi di Sicurezza e Protezione Civile, con un suo rapporto
depositato in Cancelleria il 23. V. 2012 [doc. 8 del fascicolo d’ufficio], informava
l’Ufficio del Promotore di giustizia che, nella perquisizione eseguita a carico
del sig. Paolo Gabriele, era stata rinvenuta una gran massa di documenti di
proprietà e di stretto interesse della Santa Sede e dello Stato, taluni dei
quali, già ad un primo esame, risultavano pubblicati nel libro di Gianluigi
Nuzzi. Su autorizzazione del Promotore di giustizia si procedeva all’arresto
del sig. Paolo Gabriele [verbale d’arresto allegato al medesimo rapporto],
convalidato con provvedimento dello stesso Promotore di giustizia del 23. V.
2012, posto in calce allo stesso rapporto; con il medesimo provvedimento il
Promotore di Giustizia autorizzava altresì la stessa Polizia giudiziaria ad
effettuare un’analisi preliminare della documentazione sequestrata.
Con
successivo rapporto, depositato in Cancelleria il 24. V. 2012 [doc. 10 del
fascicolo d’ufficio], il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile
segnalava che un documento pubblicato nel libro del Nuzzi avrebbe potuto essere
stato trasmesso allo stesso giornalista dal sig. E, richiedendo
l’autorizzazione – concessa con provvedimento in pari data, posto in calce al
rapporto stesso – a procedere alla perquisizione personale degli ambienti in
uso al medesimo sig. E.
Il
Promotore di giustizia, con provvedimento del 24. V. 2012 [doc. 14 del
fascicolo d’ufficio], richiedeva, a norma degli art. 187 e seg. c.p.p.,
l’apertura dell’istruttoria formale, così che le indagini sono state poi
proseguite sotto la direzione del Giudice istruttore. Il Giudice istruttore, il
24. V. 2012, procedeva all’interrogatorio del sig. Paolo Gabriele [doc. 15 del
fascicolo d’ufficio], che nominava come propri Patroni di fiducia gli avv.
Carlo Fusco e Cristiana Arru, entrambi presenti all’udienza. Nel corso dello
stesso interrogatorio il Giudice istruttore contestava al sig. Paolo Gabriele
il reato di furto aggravato, di cui agli art. 402 e seg. c.p. e la flagranza,
ai sensi dell’art. 168 c.p.p. Lo stesso Giudice istruttore, con provvedimento
del 24. V. 2012 [doc. 17 del fascicolo d’ufficio], convalidava l’arresto del
sig. Paolo Gabriele, autorizzava i legali, su loro istanza, ad un colloquio con
l’imputato e delegava la Polizia giudiziaria ad esperire ogni indagine
necessaria od utile sulla documentazione sequestrata al sig. Paolo Gabriele.
Con
rapporto del 24. V. 2012 [doc. 9 del fascicolo d’ufficio], il Direttore dei
Servizi di Sicurezza e Protezione Civile segnalava al Promotore di Giustizia
che la Polizia giudiziaria era a conoscenza di contatti del sig. Paolo Gabriele
con il sig. Claudio Sciarpelletti, richiedendo pertanto l’autorizzazione – che
veniva concessa con provvedimento in pari data, posto in calce al medesimo
rapporto – ad effettuare una perquisizione nei locali dove quest’ultimo
lavorava e delle relative pertinenze. La perquisizione dava esito positivo,
portando al sequestro di alcuni documenti [doc. 1, all. 2 e 3 del fascicolo
prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen]. In data 25. V. 2012 contestatigli dalla Polizia
giudiziaria i reati di falsa testimonianza, concorso reale nel reato di furto
aggravato di documenti e di favoreggiamento nel medesimo reato, nonché di
violazione del segreto, il sig. Claudio Sciarpelletti veniva posto in stato di
arresto [doc. 1, all. 4 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.]. Il 26. V.
2012 [doc. 2 del fascicolo prot. N. 19/12], il Promotore di giustizia il 26. V.
2012 interrogava il sig. Claudio Sciarpelletti, che nominava suo Patrono di
fiducia l’avv. Gianluca Benedetti, che era presente alla deposizione [doc. 2
del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.]. Lo stesso Promotore di giustizia,
con ordinanza del 26. V. 2012 [doc. 3 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen.
Pen.], poneva lo stesso sig. Claudio Sciarpelletti in libertà provvisoria,
previa cauzione, con l’obbligo di osservare alcune prescrizioni. Con
provvedimento del 6. VI. 2012 [doc. 5 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen.
Pen.], il Promotore di giustizia disponeva – per connessione – la riunione del
procedimento a carico del sig. Claudio Sciarpelletti [prot. N. 19/12 Reg. Gen.
Pen.] con quello a carico del sig. Paolo Gabriele [prot. N. 8/12 Reg. Gen.
Pen.] con la conseguente trasmissione degli atti al Giudice istruttore [doc. 48
del fascicolo d’ufficio].
Il 26. V.
2012 i legali di fiducia dell’imputato Paolo Gabriele impugnavano il decreto
del Giudice istruttore del 24. V. 2012 [doc. 24 del fascicolo d’ufficio],
chiedendo l’annullamento del decreto con la conseguente libertà dell’imputato
all’interno dello Stato o, in subordine, la libertà condizionata nella propria
abitazione o in qualsiasi luogo diverso dal carcere ritenuto idoneo, non
sussistendo pericolo sia di inquinamento probatorio che di fuga. Il Giudice
istruttore, con suo decreto del 28. V. 2012 [doc. 25 del fascicolo d’ufficio]
si riservava di decidere sulla impugnazione presentata dalla difesa
dell’imputato, ritenendo esistenti, allo stato, esigenze istruttorie che
richiedevano la permanenza dell’imputato stesso in stato di arresto in carcere.
L’imputato
Paolo Gabriele veniva successivamente ancora interrogato il 5 [doc. 46 del
fascicolo d’ufficio] e il 6 [doc. 47 del fascicolo d’ufficio] VI. 2012 ed
ancora il 21. VII dello stesso anno [doc. 142 del fascicolo d’ufficio].
Il 28.
VI. 2012 veniva interrogato il signor Claudio Sciarpelletti [doc. 94 del
fascicolo d’ufficio] che confermava come Patrono di fiducia l’avv. Gianluca
Benedetti, presente all’udienza; nel corso del medesimo interrogatorio allo
stesso signor Claudio Sciarpelletti venivano contestati i reati di concorso, a
norma dell’art. 63 c.p. e di favoreggiamento, ai sensi dell’art. 225 c.p., nel
reato di furto aggravato di cui all’art. 402 e seg. del quale è imputato il
sig. Paolo Gabriele, nonché del reato di violazione del segreto, ai sensi
dell’art. 159 c.p. Il 2. VII. 2012 [doc. 99 del fascicolo d’ufficio] il Promotore
di giustizia chiedeva al Giudice istruttore, per l’imputato sig. Claudio
Sciarpelletti, la revoca degli obblighi collegati alla concessione della
libertà provvisoria; il Giudice istruttore, con provvedimento del 6. VII. 2012
[doc. 107 del fascicolo d’ufficio] accoglieva la richiesta del Promotore di
giustizia, revocando gli obblighi che erano stati disposti all’atto della
concessione della libertà provvisoria.
Infine in
data 4. VIII. 2012 il Promotore di giustizia depositava in Cancelleria la sua
requisitoria [doc. 159 del fascicolo d’ufficio].
2. Durante il periodo nel quale
l’imputato Paolo Gabriele è rimasto in carcere in stato di arresto sono stati
adottati dall’Ufficio del Giudice istruttore numerosi provvedimenti riguardanti
la sua condizione [per un’appropriata vita carceraria (28, V., 15 e 30 VI.
2012, rispettivamente doc. 27, 68 e 97 del fascicolo d’ufficio); per una
conveniente assistenza medica (29. V. 2012, doc. 31 del fascicolo d’ufficio);
per un’adeguata assistenza spirituale (26. V, 31. V, 14. VII. 2012,
rispettivamente doc. 23, 32 e 126 del fascicolo d’ufficio); per un idoneo
sostegno sia legale (istanze dei legali di fiducia del 24. V. 2012 – doc. 18
del fascicolo d’ufficio – autorizzata il 25. V. 2012 – doc. 20 del fascicolo
d’ufficio – ed ancora istanze dei legali, con autorizzazione in calce, del 29.
V, 1. VI, 4. VI, 8. VI, 15. VI, 22. VI, 23. VI, 27. VI, 2. VII, 7. VII, 10.
VII, 17. VII, 24. VII, rispettivamente doc. 30, 37, 41, 51, 70, 83, 86, 90,
101, 107, 116, 131, 147 del fascicolo d’ufficio) che familiare (istanze della
moglie, per visitare quasi sempre con i due figli maggiori il marito o di
partecipare con lui alle Messe festive, del 25. V. 2012 – doc. 21 del fascicolo
d’ufficio – autorizzata in pari data – doc. 21 del fascicolo d’ufficio – ed
ancora istanze, con autorizzazione in calce del 29. V, 1. VI, 2. VI, 5. VI, 8.
VI, 14. VI, 20. VI, 25. VI, 27. VI, 30. VI, 5.VII, 10. VII, 13. VII, 16. VII,
18. VII, rispettivamente doc. 29, 38, 40, 43, 50, 63, 81, 87, 89, 98, 105, 117,
122, 130, 139 del fascicolo d’ufficio; istanza di visita da parte del padre
insieme alla moglie del 15. VI. 2012 con autorizzazione in calce, doc. 64 del
fascicolo d’ufficio)] e sono state effettuate molteplici e complesse attività
investigative.
Le
indagini, che non hanno ancora portato piena luce su tutte le articolate e
intricate vicende che costituiscono l’oggetto complesso di questa istruzione,
si sono dispiegate in varie direzioni. Sono state ascoltate varie persone in
qualità di testimoni [il 23. VI. 2012 il teste A; il 28. VI. 2012 i testi C e
B; il 7. VII. 2012 i testimoni D, E, F, G; il 14. VII, 2012 la Teste H; il 17.
VII. 2012 i testi I ed L; il giorno 18. VII. 2012 oltre ai testimoni O, N, M, è
stato sentito come testimone anche Mons.Georg Gänswein, rispettivamente doc.
85, 92, 93, 109, 110, 111, 112, 126, 133, 134, 135, , 137, 138 e 136 del
fascicolo d’ufficio].
Su
istanza del Promotore di giustizia, avanzata durante l’interrogatorio
dell’imputato Paolo Gabriele del 6. VI. 2012, alla quale si sono associati
anche i legali di fiducia dell’imputato [doc. 47 del fascicolo d’ufficio], il
Giudice istruttore, con decreto del 9. VI. 2012 [doc. 54 del fascicolo
d’ufficio] ha accolto la richiesta di disporre una perizia d’ufficio di
carattere psicologico e psichiatrico, nominando quale Perito d’ufficio il Prof.
Dr. Roberto Tatarelli, professore Senior della Facoltà di Medicina e Psicologia
dell’Università "La Sapienza" di Roma.
Il Perito
d’ufficio – che prestava giuramento [doc. 55 del fascicolo d’ufficio] lo stesso
9. VI. 2012 e che si impegnava a iniziare le operazioni peritali il successivo
18. VI. 2012 e a concluderle il 7. VII del medesimo anno – era chiamato a
rispondere ai seguenti quesiti: «a) Se il predetto Gabriele [l’imputato Paolo
Gabriele] nel periodo 2011-2012, ed attualmente, era ed è in tale stato di
mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti; b) se il
predetto Gabriele sia attualmente persona socialmente pericolosa; c) se il
predetto Gabriele sia soggetto suggestionabile capace di ideazioni criminose
e/o eterodirette». Lo stesso Perito d’ufficio, con nota del 16. VI. 2012 [doc.
61 del fascicolo d’ufficio], della quale il giudice istruttore prendeva atto,
comunicava di volersi avvalere come collaboratore dello psicologo clinico Prof.
Dr. Paolo Roma, docente all’Università "La Sapienza" di Roma.
I legali
di fiducia dell’imputato Paolo Gabriele, con dichiarazione depositata in
Cancelleria il 16. VI. 2012 [doc. 71 del fascicolo d’ufficio] – approvata in
pari data in calce allo stesso documento dal Giudice istruttore – nominavano
come secondo perito il Prof. Dr. Tonino Cantelmi, Direttore della Scuola di
Specializzazione di Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale (MIUR) in Roma, e la
Dr. Martina Aiello. Con decreto del 18. VI. 2012 [doc. 74 del fascicolo
d’ufficio] il Giudice istruttore nominava come Secondo Perito il Prof. Dr.
Tonino Cantelmi e come collaboratrice – con facoltà di surroga come Secondo
Perito qualora se ne presentasse la necessità – la Dr. Martina Aiello.
Il Perito
d’ufficio Prof. Dr. Roberto Tatarelli il 7. VII. 2012 depositava in Cancelleria
la sua relazione peritale d’ufficio [doc. 108/A del fascicolo d’ufficio]. Il
10. VII. 2012 i legali di fiducia dell’imputato, sig. Paolo Gabriele,
depositavano la Relazione psicologica e psichiatrica sulla persona del sig.
Paolo Gabriele redatta dal Secondo Perito Prof. Dr. Tonino Cantelmi [doc. 115/A
del fascicolo d’ufficio].
Sotto il
controllo e la guida dell’Autorità giudiziaria inquirente sono state effettuate
e si stanno effettuando, da parte della Polizia giudiziaria, numerose indagini.
In particolare sono state avviate complesse ed elaborate investigazioni di
natura video-telefonica, cinefotografica ed informatica. Inoltre è stata
intrapresa un’attenta analisi ed un approfondito studio forense per le
documentazioni dell’imputato Paolo Gabriele rinvenute sia nella sua abitazione
vaticana sia in altro luogo come pure per il dossier trovato nell’ufficio
dell’imputato Claudio Sciarpelletti. In specie, con riferimento al materiale reperito
nell’appartamento vaticano dell’imputato Paolo Gabriele, si è proceduto a
formare l’inventario di quanto interessa la procedura in atto e si è iniziata
un’accurata valutazione dei documenti che ragionevolmente potrebbero avere
anche una provenienza diversa da quella della Segreteria particolare del Sommo
Pontefice, di quelli sequestrati che non risultano essere pubblicati nel volume
di Gianluigi Nuzzi "Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI"
e, ancora, di quelli che, divulgati tramite quest’ultimo volume, non sono però
presenti nel materiale rinvenuto nella dimora vaticana dell’imputato Paolo
Gabriele.
In questo
molteplice e complesso contesto istruttorio, suscettibile di durare molto
tempo, si è posta l’esigenza di stabilire un ordine procedurale della vicenda
penale in discussione. Su parere del Promotore di giustizia, il Giudice
istruttore ha ritenuto di dare la precedenza alle situazioni riguardanti il
furto aggravato per le quali risulta ormai completata l’istruzione. Al riguardo
il Promotore di giustizia, nella sua requisitoria [cfr. doc. 159 del fascicolo
d’ufficio] – ciò che al Giudice istruttore pare del tutto condivisibile –
scrive di ritenere «che nell’economia dei giudizi, si possa ormai chiudere
l’istruttoria formale, limitatamente al solo reato di furto aggravato e nei
confronti degli imputati Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti, restando,
ovviamente, aperta l’istruttoria per i restanti fatti costituenti reato nei
confronti dei predetti imputati, e/o di altri», chiedendo quindi lo stesso
Promotore di giustizia «la parziale chiusura dell’istruzione formale» a norma
dell’art. 266 c.p.p.
Occorre
quindi prendere in esame le posizioni dapprima dell’imputato Paolo Gabriele e,
successivamente, dell’imputato Claudio Sciarpelletti, per quanto riguarda
l’ambito nel quale si sono ritenute completate le indagini istruttorie
costruite in chiave formale ai sensi degli art. 187 e seg. c.p.p., e cioè, in
riferimento alla fattispecie di furto aggravato di cui agli art. 402 e seg.
c.p.
IN FATTO E IN DIRITTO
3. Bisogna anzitutto soffermarsi
sulla posizione dell’imputato Paolo Gabriele al fine di accertare se sussistano
o non sussistano le condizioni per sottoporlo a giudizio. In una tale
prospettiva si rende necessario verificare dapprima la verità del fatto
materiale, in quanto condotta esteriore legalmente prevista come furto
aggravato [art. 402 e seg. c.p.] causalmente riconducibile all’imputato come
atto posto in essere da lui [atto d’uomo], e, successivamente, assodare la
verità di quella medesima condotta quale comportamento attribuibile
all’imputato stesso come atto propriamente umano e, quindi, come atto
conosciuto e valutato nelle sue componenti essenziali [in altri termini come
atto compreso in se stesso e nel suo disvalore] ed insieme liberamente voluto
[essendo stato possibile al momento dell’attuazione dei fatti criminosi una
scelta operativa diversa].
Cominciamo
prendendo in considerazione il primo aspetto, individuando anzitutto la
fattualità normativamente statuita per una tale tipologia delittuosa. In
particolare la fattispecie del furto ricorre, secondo il disposto del
primo comma dell’art. 402 c. p., per «chiunque s’impossessa della cosa mobile
altrui per trarne profitto, togliendola dal luogo dove si trova senza il
consenso di colui al quale essa appartiene». L’art. 403, 1° c.p. sancisce come aggravante
che il furto sia stato commesso «in uffici, archivi o stabilimenti pubblici,
sopra cose in essi custodite o altrove sopra cose destinate ad uso di pubblica
utilità». Ancora l’art. 404, 1° c. p. prevede un aggravamento del furto,
se il fatto sia commesso con abuso di fiducia derivante da scambievoli
relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera o di coabitazione, anche
temporanea, tra il derubato e il colpevole, sulle cose che in conseguenza di
tali relazioni sono lasciate ed esposte alla fede di quest’ultimo».
Al nostro
scopo basteranno al riguardo poche e sintetiche osservazioni. Per il
verificarsi dunque di una tale fattispecie delittuosa deve risultare anzitutto
l’altruità di quanto è stato carpito, e cioè la sussistenza sulla cosa
di un interesse considerato comunque legalmente meritevole di protezione; la
sottrazione che deve essere compiuta in assenza di autorizzazione di
colui che ha la cosa medesima, ossia, come precisa l’art. 402 c. p., «senza il
consenso di colui al quale la cosa appartiene». Di più, l’azione criminosa deve
essere perpetrata – pur senza che la norma pretenda l’attuazione di un tale
effetto – allo scopo di trarne profitto e, quindi, un esito in qualsiasi
modo vantaggioso, in quanto si consegua dalla cosa carpita una qualunque
utilità godimento o giovamento, materiale o morale, dal momento che si è voluto
dare legalmente protezione allo stato di altruità della cosa, considerato, per
se stesso, un bene comunitariamente da proteggere.
Vengono
quindi in considerazione due aggravanti. La prima stabilita nell’art.
403, 1° c. p., riguardando i luoghi, costituisce un’aggravante oggettiva
insita specialmente nella necessità di una conveniente protezione delle cose
custodite in uffici, archivi o stabilimenti pubblici o anche in altri luoghi ma
sempre in servizio della pubblica utilità, al fine di una ordinata disciplina e
attuazione delle funzioni che vi si svolgono e, dunque, ancora una volta
l’accento dell’aggravante è posto oggettivamente sulle cose e non
soggettivamente sulle persone che quelle cose utilizzano. Secondo quanto è
stato richiamato nella requisitoria del Promotore di giustizia [doc. 159 del
fascicolo d’ufficio] «la giurisprudenza ha chiarito che, in questo caso, la
"ragione dell’ aggravante" è la "maggiore malvagità congiunta
alla maggiore facilità che la natura stessa del luogo offre per la
perpetrazione del furto" (Cassazione Unica italiana 20 luglio 1894, in
"Riv. Pen" XL, p. 398, n. 1898)».
In una
simile ottica appare la diversità di tale aggravante rispetto a quella prevista
nell’art. 404 1° c. p., che ha la sua "ratio" nella tutela e del
dovere di lealtà e del rapporto fiduciario necessario ad un assolvimento
efficace ed efficiente dei rapporti di lavoro in uno stesso ambito
strutturale, tanto più quando questi vengono espletati, come nel caso di
specie, in un ambiente così particolare come quello della "Famiglia
Pontificia"; una tale aggravante ha, per ciò, il suo perno nelle relazioni
che si attuano a causa dell’appartenenza ad un medesimo ufficio e che,
obbligate dall’esercizio delle rispettive attività, pure per effetto della
vicinanza personale, assumono, di frequente, una dimensione di confidenza resa
sicura dalla quotidianità dei contatti, così che, come precisa lo stesso art.
404, 1 c. p., le «cose… in conseguenza di tali relazioni» sono «lasciate o
esposte alla fede» di quanti compiono le loro mansioni nell’ambito di un
medesimo ufficio. In definitiva una simile aggravante si costruisce su tre
elementi fondamentali, ossia che il furto sia commesso – 1° – in un preciso
ambito funzionale costituito dalle «scambievoli relazioni di ufficio, di
prestazione d’opera o di coabitazione, anche temporanea, tra il derubato e il
colpevole»; ed ancora – 2° – abusando del credito fiduciario acquisito per
effetto di quelle stesse relazioni e in fine – 3° – riguardando delle cose che,
per effetto di quelle medesime relazioni, siano state lasciate alla fede del
delinquente, considerando che questa – come ha precisato la giurisprudenza – si
estende a tutte le cose «che in ragione dell’esercizio [di quelle funzioni]
restano, per consuetudine, alla libera portata della persona che» le «esercita»
(Cassazione Unica italiana, 12 febbraio 1897, in, Riv. Pen., vol. XLV, p. 406,
n. 788].
La
fattispecie delittuosa in discussione si perfeziona con l’impossessamento
della cosa, e cioè, secondo quanto specifica l’art. 402 c.p., «togliendola dal
luogo dove si trova», ossia, con una posizione che normativamente si può
individuare come mediana tra la rimozione e lo spostamento in un luogo diverso
da quello nel quale è custodita, attraverso un cambiamento dell’ordine
oggettivamente preesistente all’azione criminosa.
4. Costruiamo ora sommariamente il
fatto materiale così come si è evidenziato dagli atti di causa con riferimento
all’imputato Paolo Gabriele.
Il 19. V.
2012 veniva reso pubblico il libro di Gianluigi Nuzzi "Sua Santità. Le
carte segrete di Benedetto XVI" [doc. 141/A del fascicolo d’ufficio]. Il
lunedì successivo 21. V. 2012 si svolgeva una riunione ristretta della
"Famiglia Pontificia" alla quale partecipavano Mons. Georg Gänswein,
Mons. Alfred Xuereb, la sig.na Birgit Wansing, le quattro Memores e
l’imputato Paolo Gabriele [cfr. deposizioni dei testimoni, P, O, N, M e
interrogatorio dell’imputato del 21. VII. 2012, rispettivamente doc. 136, 135,
137, 138 e 142 del fascicolo d’ufficio]. In questa riunione ciascuno dei
presenti dava una risposta negativa alla domanda se fosse stato lui o lei a
consegnare i documenti al giornalista Gianluigi Nuzzi. Successivamente in
quella medesima riunione, mons. Georg Gänswein ebbe ad indicare all’imputato
alcuni documenti non ancora usciti dall’ufficio, tra i quali vi erano due
lettere che l’imputato stesso aveva certamente avuto tra le mani, poiché era
stato incaricato di preparare la risposta. Al riguardo il testimone Mons. Georg
Gänswein precisa: «Avendogli detto [all’imputato Paolo Gabriele] davanti a
tutti che questo pur non dando la prova creava un forte sospetto nei suoi
confronti ho avuto come risposta una negazione decisa ed assoluta del fatto»
[doc. 136 del fascicolo d’ufficio].
Mercoledì
23. V. 2012 lo stesso Mons. Georg Gänswein veniva avvertito della decisione
relativa alla sospensione "ad cautelam" dello stesso imputato Paolo
Gabriele, al quale l’avrebbe potuta comunicare, pur se il medesimo imputato
l’avrebbe poi dovuta formalmente ricevere dal Prefetto della Casa Pontificia;
in proposito il teste Mons. Georg Gänswein afferma: «Ho allora chiamato davanti
alle altre persone della Casa Pontificia Paolo Gabriele e gli ho comunicato la
sospensione ad cautelam… Lui ha allora detto che in questo modo era
stato trovato il capro espiatorio della situazione. Molto freddamente mi ha poi
detto che era tranquillo e sereno avendo a posto la coscienza avendo avuto un
colloquio con il suo Padre spirituale» [doc. 136 del fascicolo d’ufficio].
Nell’interrogatorio
del 24. V. 2012 [doc. 15 del fascicolo d’ufficio] l’imputato Paolo Gabriele pur
avendo asserito di dare la «collaborazione più piena ai fini dello scoprimento
della verità», si è poi sostanzialmente avvalso frequentemente della facoltà di
non rispondere. Nel successivo interrogatorio del 5. VI. 2012 [doc. 46 del
fascicolo d’ufficio] cambiando atteggiamento al riguardo ha poi chiarito: «Ho…
proceduto alla duplicazione dei documenti fotocopiandoli in ufficio e
successivamente portandoli a casa. Negli ultimi tempi, quando la situazione è
degenerata, provvedevo per non restare senza copie, alla loro duplicazione
attraverso la fotocopiatrice inserita nella stampante del computer».
Nell’interrogatorio
del 21. VII. 2012 [doc. 142 del fascicolo d’ufficio] l’imputato Paolo Gabriele,
rispondendo ad una domanda precisa posta dal Giudice istruttore, ha
esplicitamente affermato di avere egli stesso formato la documentazione
sequestrata nella sua casa vaticana il 23. VII. 2012, fotocopiandola da quella
che rinveniva sulla scrivania di Mons. Georg Gänswein o che era in giacenza sul
piano che si trovava di fronte alla scrivania «senza mai andare a spulciare i
dossier quando erano riposti fuori dalla scrivania».
Di questa
attività di fotocopiatura l’imputato fornisce anche, sempre nell’interrogatorio
del 5. VI. 2012 [doc. 46 del fascicolo d’ufficio] le ragioni: «Anche se il
possesso di tali documenti è cosa illecita ho ritenuto di doverlo effettuare
spinto da diverse ragioni quali i miei interessi personali, inoltre ritenevo
che anche il Sommo Pontefice non fosse correttamente informato su alcuni fatti.
In questo contesto [fui] spinto anche dalla mia fede profonda e dal desiderio
che nella Chiesa si dovesse far luce su ogni fatto». Nell’interrogatorio del
21. VII. 2012 [doc. 142 del fascicolo d’ufficio; cfr. anche deposizione della
teste H, doc. 126 del fascicolo d’ufficio] il medesimo imputato aggiunge in
proposito: «La ragione era quella di poter analizzare e capire il
"sistema", non avendo la possibilità di farlo in ufficio».
Lo stesso
imputato Paolo Gabriele, nel corso dell’interrogatorio del 5. VI. 2012 [doc. 46
del fascicolo d’ufficio], precisa ancora: «Dei documenti consegnati a Nuzzi ho
fatto fotocopia che ho consegnato al Padre spirituale, B, ritengo perciò che
tra le copie consegnate a Nuzzi e quelle consegnate a B ci fosse una identità,
potrebbe però essere avvenuta una qualche diversità. Le carte rimaste a casa sono
sostanzialmente un rimasuglio disordinato dovuto al caos di documenti che avevo
con me, molti dei quali prendevo da internet o erano frutto di ricerche
personali».
Il
testimone B [doc. 93 del fascicolo d’ufficio] conferma di aver ricevuto tra il
febbraio e il marzo 2012 dall’imputato – senza che questi gli ponesse alcuna
condizione – una raccolta di documenti – importanti in quanto attinenti alla
Santa Sede – contenuti in una scatola con stemma pontificio larga come un
foglio di A4 ed alta circa sei o sette centimetri, a proposito della quale
precisa: «Ho distrutto i documenti per una duplice ragione in quanto ne
conoscevo l’importanza e in quanto qualche mese prima avevamo subito un furto».
Di più lo stesso testimone aggiunge: «Inoltre sapevo che queste documentazioni
in fotocopia erano frutto di una attività non legittima e non
"onesta" e temevo che se ne potesse fare un uso altrettanto non
legittimo e non "onesto"». Si può peraltro osservare che tutte le
ragioni addotte per la distruzione dei documenti erano già presenti al momento
del loro ricevimento.
Dopo
essergli stato mostrato, nel corso dell’interrogatorio del 21. VII. 2012 [doc.
142 del fascicolo d’ufficio], un dossier di trentasette documenti rinvenuti
nell’abitazione che aveva in uso a Castel Gandolfo, l’imputato Paolo Gabriele,
che dice di non ritenerlo propriamente una raccolta, al riguardo specifica:
«Nella mia sbadataggine poiché vivevo a Castel Gandolfo durante il periodo
delle vacanze estive del Santo Padre, avrò dimenticato lì quei documenti e non
li ho portati con me. Pertanto non li ho consegnati al Nuzzi».
Riguardo
al rapporto con Gianluigi Nuzzi il cui libro "Vaticano SPA" l’aveva
molto colpito, l’imputato Paolo Gabriele, nel suo interrogatorio del 6. VI.
2012 [doc. 47 del fascicolo d’ufficio] chiarisce di aver conosciuto tramite internet
sia il fatto che il giornalista stava preparando sull’emittente televisiva
"La7" una trasmissione ["Gli Intoccabili"] sia l’indirizzo
della redazione romana che era sito in Via Sabotino; essendo riuscito quindi a
contattare il giornalista l’imputato spiega: «In effetti dopo circa una
settimana ci siamo incontrati sempre davanti alla porta di Via Sabotino ed
insieme siamo andati all’appartamento che lui aveva a disposizione a Viale
Angelico. Abbiamo quindi avuto una serie di incontri dapprima a distanza di
circa una settimana e poi di due settimane. Questo nei mesi di novembre,
dicembre 2011 e gennaio 2012. Successivamente il nostro rapporto è venuto
scemando di intensità». Lo stesso imputato puntualizza che per la consegna dei
documenti fatta da lui ed avvenuta a più riprese [cfr. anche l’interrogatorio
dell’imputato del 21. VII. 2012, doc. 142 del fascicolo d’ufficio] non ha
ricevuto versamenti in denaro o altri benefici; del resto il medesimo giornalista
gli «aveva detto che non era solito avere documenti a pagamento, ma manteneva
contatti soltanto con chi aveva fiducia in lui e per questo gli forniva le
prove necessarie» [interrogatorio del 6. VI. 2012, doc. 47 del fascicolo
d’ufficio].
Anche di
una tale divulgazione l’imputato Paolo Gabriele, nel suo interrogatorio del 6.
VI. 2012 [doc. 47 del fascicolo d’ufficio] espone le ragioni, lamentando che
nell’intervista televisiva apparsa nella trasmissione del Nuzzi, costruita in
modo che non potesse essere riconosciuto, fossero state tagliate alcune parti,
«in particolare quelle… nelle quali affermavo che le mie motivazioni erano
state sempre quelle di venire incontro ad un miglioramento della situazione
ecclesiale e non mai quelle di far danno alla Chiesa ed al suo Pastore». Ed
ancora, nell’interrogatorio del 21. VII. 2012 [doc. 142 del fascicolo
d’ufficio] lo stesso imputato ha avuto modo di specificare: «Anche se non
sapevo dove si sarebbe potuti arrivare con questa mia iniziativa [quella della
divulgazione dei documenti tramite Gianluigi Nuzzi], ebbi l’impulso di fare
qualcosa che consentisse in qualche modo di uscir fuori dalla situazione che si
viveva all’interno del Vaticano; dalla posizione dalla quale mi trovavo potevo
osservare la duplice funzione Papale, quella di vertice della Chiesa e quella
di vertice dello Stato. In particolare per queste ultime funzioni vedevo nella
gestione di alcuni meccanismi vaticani una ragione di ostacolo o comunque di
scandalo per la fede. Mi rendevo conto che su alcune cose il Santo Padre non
era informato o era informato male. Con l’aiuto di altri come il Nuzzi pensavo
di poter vedere le cose con più chiarezza».
Nell’interrogatorio
del 2. VII. 2012 [doc. 142 del fascicolo d’ufficio] il Giudice istruttore ha
fatto presente all’imputato Paolo Gabriele che dal raffronto tra il materiale
sequestrato nella sua casa vaticana e quello pubblicato nel volume del Nuzzi
"Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI", si evidenzia una
duplice situazione, e cioè quella relativa a documenti pubblicati nel libro ma
non reperiti nella raccolta trovata nell’abitazione vaticana dell’imputato
stesso e quella invece riguardante documenti rinvenuti in quest’ultima ma non
pubblicati dal giornalista; di ciascuna delle due categorie venivano anche
indicati taluni documenti a titolo esemplificativo; al riguardo l’imputato ha
precisato sia in modo generico sia in maniera specifica con riferimento ai
documenti esemplificativamente mostratigli di avere effettuato per tutti la
consegna al Nuzzi. Rimane così confermata la natura caotica ed in qualche
maniera anche residuale della documentazione sequestrata e definita dallo
stesso imputato nell’interrogatorio del 5. VI. 2012 [doc. 46 del fascicolo
d’ufficio] un «rimasuglio disordinato».
Alla
contestazione, avvenuta nel corso dell’interrogatorio del 21. VII. 2012 [doc.
142 del fascicolo d’ufficio], da parte del Giudice istruttore relativa al
rinvenimento tra il materiale sequestrato il 23. V. 2012 di un assegno del 26.
III. 2012 intestato a Sua Santità Benedetto XVI relativo ad una somma di
100.000,00 [centomila/00] euro, di una pepita presunta d’oro e di una edizione
della traduzione dell’Eneide di Annibal Caro del 1581 – tutti regali offerti al
Sommo Pontefice, dei quali il teste Mons. Georg Gänswein nel suo interrogatorio
[doc. 136 del fascicolo d’ufficio] ha detto di non avere avuto alcuna
conoscenza – l’imputato Paolo Gabriele ha risposto: «Nella degenerazione del
mio disordine è potuto capitare anche questo», aggiungendo ancora con
riferimento alla edizione cinquecentina: «Ero l’incaricato di portare alcuni
doni presso il magazzino e altri in Ufficio… Per quanto riguarda l’edizione
dell’Eneide ricordo che avendo mio figlio cominciato lo studio di quel poema
chiesi a Mons. Gänswein se potevo far vedere il libro al Professore di mio
figlio. Lui mi disse di sì ed il libro rimase a casa per essere restituito».
Il fatto
materiale riguardante il reato di furto aggravato riceve nelle sue componenti
fondamentali una peculiare – anche se non esclusiva – conferma dalle
parole dello stesso imputato Paolo Gabriele che pertanto costituiscono in se
stesse una confessione.
Nel
codice di procedura penale vigente nello Stato della Città del Vaticano
peraltro la confessione non assume alcuna forza decisiva. Nella relazione a
quel medesimo codice è scritto solamente che «la confessione può facilitare la
ricerca [della prova] ma per se medesima non la esaurisce» [p. 85]. Del resto
anche per l’ordinamento canonico, che alla stregua della vigente legge vaticana
sulle fonti del diritto [cfr. art. 1, 1°, L. n. LXXI del 1° ottobre 2008]
costituisce «la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento
interpretativo», nel can. 1536, § 2 del codice di diritto canonico per la
Chiesa latina, si sancisce: «In causis autem quae respiciunt bonum publicum
[tra le quali sono certamente da ricomprendersi – cfr. can. 1728, § 1 di quel
medesimo codice – anche le controversie penali; cfr. con riferimento puntuale
al can. 1536, § 2, B.F. Pighin, Diritto penale canonico, Venezia, 2008,
pp. 565-566], confessio iudicialis… vim probandi habere [potest]… a iudice
aestimandam una cum ceteris causae adiunctis, at vis plenae probationis tribui
nequit, nisi alia accedant elementa quae [eam]… omnino corroborent».
La
confessione esprime pertanto un orientamento probatorio che occorre sia certo,
esplicito, spontaneo [cfr. V. Manzini, Trattato di diritto processuale
penale italiano, vol. III, Torino, 19242, pp. 344 seg.] oltre
che credibile. Del resto, anche nel diritto canonico nel quale fin dalla Glossa
al Decreto Grazianeo [cfr. C. 2, q. 1, c. 1, glossa "Confessum"]
erano posti molti requisiti alla sua rilevanza giudiziaria, tradizionalmente
alla forza probatoria della confessione giudiziale nel processo sono collegate
alcune fondamentali connotazioni che, essendo per lo più di diritto divino,
hanno valenza generale temporalmente non limitata: «Ipse actus confessionis
fiat necesse est scienter et sine errore atque cum pleno usu rationis, sponte
et absque vi et metu, clare aperteque in iudicio et coram iudice competente;
spontaneitati non opponitur quod fiat per responsum ad iudicis interrogationem»
[F.X. Wernz – P. Vidal, Ius canonicum, tom VI, De processibus,
Romae, 19492, p. 405].
Ora è
indubitabile che l’imputato Paolo Gabriele ha reso il suo interrogatorio, oltre
che consapevolmente e senza inganno, con modalità, non soltanto certe – in
quanto avvenute nel contesto e con le garanzie di un’istruzione formale –, ma
altresì chiare e del tutto libere, rispondendo a domande direttamente attinenti
ai fatti di causa. La generale credibilità degli elementi confessati, almeno in
linea generale e per quanto riguarda il fatto materiale, trova conferma negli
altri elementi di prova, costituiti così dalle deposizioni testimoniali come
dai riscontri positivi concretizzati in particolare con la perquisizione del
23. V. 2012 e con i raffronti con quanto è stato pubblicato nel libro di
Gianluigi Nuzzi "Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI",
allegato agli atti di causa [doc. 141/A del fascicolo d’ufficio].
Nel caso
in discussione, quindi – con una sufficienza tale da consentire su di esse il
giudizio – si riscontrano le componenti essenziali del furto aggravato
contestato all’imputato Paolo Gabriele: l’alterità delle cose sottratte
appartenenti – non all’imputato – ma alla Santa Sede della quale manca ogni
autorizzazione legittimante ed insieme il profitto individuato dalle ragioni
che hanno determinato le operazioni delittuose; si evidenzia altresì – con il
perfezionamento del reato [consolidato nell’impossessamento necessario
all’attività di fotocopiatura] – l’Ufficio [la Segreteria particolare del Sommo
Pontefice] e le relazioni di servizio che in questo si svolgono, mettendo così
in luce gli elementi sui quali può essere esperito un giudizio in riferimento alla
duplice aggravante che specifica il reato di furto nel caso in discussione.
Sotto il
profilo del fatto materiale sussistono quindi le condizioni per sottoporre a
giudizio l’imputato Paolo Gabriele, ancorché queste non siano sufficienti allo
scopo, dovendosi necessariamente valutare anche quelle relative alla componente
soggettiva che si deve ora prendere in esame.
5. A questo punto si pone il
problema dell’imputabilità, ossia dell’attribuzione del fatto materiale
criminoso all’imputato considerato penalmente capace. In altri termini nella
relazione tra l’agente e il suo operato, con l’imputazione si ha l’addossamento
di un’attività criminosa, con ogni sua qualità ed effetto, alla persona che
l’ha posta in essere. Al fine di un tale addebitamento si rende peraltro
necessaria la sussistenza di una condizione soggettiva legalmente individuata,
in riferimento al delitto, dal primo comma dell’art. 45 c.p.: «Nessuno può
essere punito per un delitto, se non abbia voluto il fatto che lo costituisce,
tranne che la legge lo ponga altrimenti a suo carico, come conseguenza della
sua azione od omissione».
Un tale
disposto trova il suo completamento in una duplice prescrizione codiciale. In
effetti il primo comma dell’art. 46 c.p. statuisce: «Non è punibile colui che,
nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di
mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti». Questa
disposizione trova poi una sua integrazione nel primo comma dell’art. 47 c.p.
che dispone una diminuzione della pena «quando lo stato di mente indicato
nell’articolo precedente era tale da scemare grandemente la imputabilità senza
escluderla».
L’art. 45
attiene quella che si è chiamata imputabilità morale [cfr. G.
Crivellari, Il codice penale per il Regno d’Italia, vol. III, Torino,
1892, p. 268]. Si è scritto al riguardo: «Il criterio dell’imputabilità morale
consiste nel simultaneo concorso dell’intelletto e della libera
volontà dell’agente al momento della commissione o dell’omissione del fatto
comandato o vietato dalla legge con sanzioni penali. Vi ha, in altre parole,
imputabilità morale, quando l’agente, violando la legge sapeva
quello che faceva e volle liberamente quello che fece; quando insomma
egli abbia agito non tanto con coscienza dei propri atti quanto con libertà
di elezione» [ibidem, p. 282].
Una
simile prospettazione dell’imputabilità può anche essere accostata a quella
canonica, essendo l’ordinamento ecclesiale la prima fonte ed il criterio
ermeneutico di riferimento per il diritto statuale vaticano [cfr. art. 1, 1°,
L. n. LXXI del 1° ottobre 2008], ed in particolare ai disposti del can. 2195, §
1 del codice pio-benedettino del 1917 e del can. 1321 della vigente
codificazione per la Chiesa latina, norme da considerare – al di là della
discrasia nella dizione normativa – contenutisticamente equivalenti [cfr. A.
D’Auria, L’imputabilità nel diritto penale canonico, Roma, 1997, pp.
67-71].
Prescindendo
dalla specificità dell’indicazione testuale, alla base della prospettazione
canonica vi è la qualificazione umana dell’atto, che si ha quando questa
si conforma come «il dinamismo dello spirito informato dall’idea o, se ci piace
di più, il dinamismo dell’idea (e del valore) che si realizza per mezzo dello
spirito» [J. De Finance, Saggio sull’agire umano, Città del Vaticano,
1992, p. 39]. Bisogna anzi aggiungere che tra tutte quelle attività che hanno
nell’uomo la propria causa efficiente ["actiones hominis"] possono
qualificarsi propriamente come azioni umane ["actiones
humanae"] solamente quelle che esprimono un tale rapporto tra idea [e
valore] e volontà. Del resto, come aveva già sottolineato
Tommaso D’Aquino, «differt… homo ab aliis irrationalibus creaturis in hoc, quod
est suorum actuum dominus. Unde illae solae actiones vocantur proprie humanae,
quarum homo est dominus. Est autem homo dominus suorum actuum per rationem et
voluntatem… Illae ergo actiones proprie humanae dicuntur, quae ex voluntate
deliberata procedunt» [ Summa theologiae, 1-2, q. 1, a. 1 c].
Ogniqualvolta l’atto umano assume i contorni di una fattispecie penale
l’imputabilità può acquisire anche i contorni della colpevolezza [cfr. A.
D’Auria, L’imputabilità, op. cit., pp. 46-47].
È quindi
evidente che l’accertamento in un caso concreto della mancanza soggettiva
dell’idoneità intellettiva e volitiva, e cioè della capacità sia di comprendere
come pure di valutare, sia di effettuarne una decisione frutto di libera scelta
impediscono, con la qualificazione umana dell’atto, l’esistenza di una
colpevolezza ascrivibile all’imputato, come sanciscono il can. 1322 del codice
vigente per la Chiesa latina [cfr. V. De Paolis, in, V. De Paolis – D. Cito, Le
sanzioni nella Chiesa, Roma, 2000, pp. 154-155] e sostanzialmente in modo
non diverso l’art. 46 c. p. la cui «formola intera adunque: infermità di
mente, deve essere intesa nel senso di comprendervi qualunque
perturbazione morbosa, di qualunque grado e sotto qualsiasi aspetto, di
qualunque delle facoltà psichiche dell’uomo. La caratteristica e i
caratteri della infermità di mente involge quindi una questione tecnica di
scienza psichiatrica» [G. Crivellari, Il codice penale, III, op. cit.,
p. 410] la cui soluzione deve essere demandata ad una perizia. Più specialmente
poi l’art. 46 c.p., parlando di "coscienza" dei propri atti «si
riferisce… alla capacità di intendere, cioè all’intelletto» [ibidem,
p. 416] e con l’espressione "libertà dei propri atti" – unita alla
precedente in via disgiuntiva tramite la particella "o" – «si
riferisce alla capacità di volere» [ibidem, p. 417].
Occorre
peraltro osservare quanto è altresì statuito dal secondo comma del medesimo
art. 46 c.p.: «Il giudice, nondimeno, ove stimi pericolosa la liberazione
dell’imputato prosciolto, ne ordina la consegna all’Autorità competente per i
provvedimenti di legge». Nella norma si fa riferimento ad un provvedimento che
non discende in via automatica dalla sentenza di proscioglimento, ma impegna il
Giudice, costituendo per lui un obbligo, a compiere in ogni caso un’attenta
valutazione in relazione alla pericolosità dell’imputato che l’incapacità
di intendere e di volere rende non punibile. «Questo giudizio è lasciato
esclusivamente alla coscienza intemerata e prudente del Magistrato; ma quando
egli sia convinto del pericolo della liberazione deve far luogo al
provvedimento. Ordina, dice il capoverso; la disposizione è imperativa…
Ciò che è da rimarcarsi singolarmente è questo: che il ricovero non è
ordinato dal Giudice che conobbe la causa; questo non ha altro compito che
quello di ordinare la consegna all’Autorità competente» [G. Crivellari, Il codice
penale, III, op. cit., pp. 420-421].
D’altra
parte, il successivo art. 47 c. p. – sostanzialmente non altrimenti da quanto
dispone il can. 1326, 6° del vigente codice di diritto canonico per la Chiesa
Latina [cfr. A. D’Auria, L’imputabilità, op. cit., pp. 180-181] –
stabilisce una diminuzione della colpevolezza, e quindi della pena, se
l’infermità di mente, riuscendo «soltanto a far sì che l’agente non abbia
intera coscienza del carattere della sua azione e delle sue conseguenze e a non
avere padronanza intiera dei propri movimenti, la scema grandemente» [G.
Crivellari, Il codice penale, III, op. cit., p. 425], ossia «non
qualunque squilibrio degli atti psichici attenua la responsabilità cogli
effetti dell’articolo 47, ma quello soltanto che si accompagna ad una notevole
perturbazione della facoltà della mente» [L. Majno, Commento al codice
penale italiano, vol. I, Verona, 1890, p. 109].
6. Occorre anzitutto ricostruire –
sia pure sinteticamente e per sommi capi – tramite le deposizioni in atti, la
personalità dell’imputato Paolo Gabriele ed insieme la comprensione e
l’autonomia che questi abbia avuto degli atti costituenti il fatto criminoso
nel contesto immediato nel quale sono stati compiuti con le reazioni che hanno
saputo suscitare in lui, per poi valutare, con grande serietà e cautela, le
letture che ne hanno compiuto il Perito d’ufficio e il Secondo Perito.
L’imputato
è apparso ai testimoni [cfr. anche deposizioni dei testi F, I e N,
rispettivamente doc. 111, 133 e 137 del fascicolo d’ufficio] come persona
cattolicamente credente e impegnata, intelligente e capace di espletare le
proprie mansioni con la diligenza e la riservatezza che queste richiedevano. In
particolare la testimone O, osserva: «Fino all’uscita del libro Sua Santità del
Nuzzi il Gabriele mi sembrava una brava persona, sempre gentile ma riservato.
Adempiva il suo lavoro cercando di farlo nel modo migliore possibile. Era
inoltre una persona molto pia; quotidianamente ascoltava la S. Messa celebrata
dal Santo Padre e pregava molto» [doc. 135 del fascicolo d’ufficio]. Per parte
sua la testimone H, in merito annota: «Conosco Paolo Gabriele come persona
molto religiosa, affidabile, molto intelligente, capace di risolvere i problemi
di sua competenza che gli possono venire affidati. Di lui ho grandissima stima»
[doc. 126 del fascicolo d’ufficio].
Un’altra
testimone, M, al riguardo rileva: «Era una brava persona e un bravo padre di
famiglia. Per quanto riguarda il lavoro presso il Santo Padre, lo svolgeva bene
con una certa coscienza. Devo però aggiungere che non aveva alcuna particolare
inventiva per migliorarlo né prendeva alcuna iniziativa sotto questo profilo ma
si limitava ad eseguire quanto gli veniva detto. Caratterialmente pur essendo
una persona di spirito ed avendo un certo umorismo risultava molto chiuso. Era
difficile entrare almeno per noi in confidenza con lui soprattutto sembrava una
persona in continua competizione e alla ricerca di approvazione per il suo
comportamento. Rispetto ai fatti della vita quotidiana si metteva in posizione
di giudice ed era molto critico per esempio nei confronti delle vicende
relative alla scuola dei figli e agli insegnanti» [doc. 138 del fascicolo
d’ufficio].
Il
testimone Mons. Georg Gänswein soprattutto, ma non solamente, in riferimento
alle sue attitudini lavorative [con riferimento alla sua professionalità cfr.
pure deposizioni dei testi A, B e H, rispettivamente doc. 85, 93 e 126 del
fascicolo d’ufficio] asserisce: «Era persona [l’imputato Paolo Gabriele] che
aveva bisogno comunque di essere continuamente instradato e guidato. Era un
esecutore a cui quindi non si potevano affidare compiti di natura diversa, anzi
talvolta era necessario ripetere le cose più di una volta. Comunque avendolo
conosciuto dopo circa un anno ho ritenuto che potesse svolgere anche qualche
compito di ordinaria amministrazione o routinario in relazione al mio Ufficio.
Erano comunque sempre cose semplici. Tutto al più, qualche lettera in lingua
italiana e di amministrazione molto ordinaria. Mi è comunque sembrato una
persona onesta della cui lealtà non si poteva dubitare ed è proprio per questo
che gli ho potuto affidare qualche compito da svolgere in ufficio… che gli ha
consentito quindi di essere presente nello stesso. Non gli ho mai trasmesso o
fatto vedere documenti riservati né tantomeno ho chiesto a lui di preparare le
risposte in questi casi. Lui comunque essendo presente era in grado di poter
seguire il flusso dei documenti ancorché non il contenuto» [doc. 136 del
fascicolo d’ufficio].
L’imputato
nei suoi interrogatori ha puntualizzato che nel compiere le fattualità
criminose si rendeva conto di porre in essere atti che, da una parte
comportando dei rischi, richiedevano delle precauzioni e dall’altra avevano
bisogno del consiglio di chi gli era spiritualmente di guida implicando un
disvalore del quale aveva consapevolezza: «Anche se il possesso di tali
documenti è cosa illecita ho ritenuto di doverlo effettuare spinto da varie
ragioni» [interrogatorio del 5. VI. 2012, doc. 46 del fascicolo d’ufficio].
In
particolare, raccontando i suoi rapporti con Gianluigi Nuzzi, l’imputato ha
modo di precisare nel suo interrogatorio del 6. VI. 2012 [doc. 47 del fascicolo
d’ufficio] in relazione al suo primo abboccamento con il giornalista: «Questo
incontro, che è avvenuto a ottobre o forse a novembre 2011 è durato poco tempo
anche perché, sapendo di rischiare, temevo di poter essere riconosciuto da
qualcuno. Avendogli detto che non volevo avere contatti telefonici anche per
timore dei controlli su di essi, il Nuzzi, mi ha invitato per un successivo
incontro a casa sua». Ed ancora, sempre in quel medesimo interrogatorio: «Ho
avuto con il Nuzzi un’intervista avvenuta nell’appartamento che lui aveva a
disposizione. In questa intervista vennero prese tutte le precauzioni
necessarie affinché io non venissi riconosciuto. Anzi cercò di tranquillizzarmi
e usò ulteriori camuffamenti per darmi una maggiore certezza al riguardo».
Parlando in genere del suo rapporto con Gianluigi Nuzzi, sempre nello stesso
interrogatorio, l’imputato precisa inoltre: «Naturalmente sapevo di correre dei
pericoli, nel senso che c’era il rischio di essere scoperto. Soprattutto per le
gravi conseguenze che questo comportamento importava. Naturalmente sapevo anche
che non avrei potuto scappare o sottrarmi poiché questo sarebbe stato
espressione di vigliaccheria».
Che
l’imputato avesse sentito la necessità di parlare con il proprio Padre
spirituale è confermato dal testimone Mons. Georg Gänswein nel riferire
l’atteggiamento tenuto dallo stesso imputato Paolo Gabriele quando gli aveva
comunicato la sospensione cautelare dal lavoro: «Molto freddamente mi ha poi
detto che era tranquillo e sereno avendo a posto la coscienza avendo avuto un
colloquio con il Padre spirituale» [doc. 136 del fascicolo d’ufficio]. Del
resto il medesimo imputato, nel corso del suo interrogatorio del 21. VII. 2012
[doc. 142 del fascicolo d’ufficio], ha spiegato con il consiglio della propria
Guida spirituale la posizione di diniego tenuta nei confronti delle
contestazioni mossegli da Mons. Georg Gänswein nel corso della riunione della
"Famiglia Pontificia" del 21. V. 2012: «D’altra parte questo mio
atteggiamento di negazione delle responsabilità, seguiva anche le indicazioni
del mio Padre Spirituale che mi aveva detto di attendere le circostanze e salvo
che fosse stato il Santo Padre a chiedermelo di persona di non affermare ancora
questa mia responsabilità».
Inoltre
il comportamento disteso, quando non distaccato, tenuto dall’imputato Paolo
Gabriele dopo la divulgazione dei documenti riservati attuata dal giornalista
Gianlugi Nuzzi e notata anche da alcuni testimoni [cfr. deposizioni dei testi,
O, N e M, rispettivamente doc. 135, 137 e 138 del fascicolo d’ufficio], appare
come qualche cosa di consapevole fin dal primo interrogatorio dello stesso
imputato il 24. V. 2012 [doc. 15 del fascicolo d’ufficio]: «Durante la notte ho
pensato ai fatti che mi vedono coinvolto e ho deciso di dare la mia
collaborazione più piena ai fini dello scoprimento della verità, mi sento
comunque tranquillo anche se sono consapevole [che] alcuni danni, provocati dai
fatti che mi hanno visto coinvolto e che non riguardano la mia persona, non
sono riparabili».
L’attività
criminosa dell’imputato è maturata in un contesto di disagio e di critica
consapevole nei riguardi di vicende, organismi e personalità della Chiesa e
dello Stato della Città del Vaticano [cfr. deposizioni dei testimoni A, H e M,
rispettivamente doc. 85, 126 e 138 del fascicolo d’ufficio] come lo stesso
imputato ha asserito nel suo interrogatorio del 6. VI. 2012 [doc. 47 del
fascicolo d’ufficio]: «Sono stato suggestionato da circostanze ambientali, in
particolare dalla situazione di uno Stato nel quale c’erano delle condizioni
che determinavano scandalo per la fede, che alimentavano una serie di misteri
non risolti e che destavano diffusi malumori». D’altronde il medesimo imputato
nel corso dell’interrogatorio del 5. VI. 2012 [doc. 46 del fascicolo d’ufficio]
aveva avuto occasione di annotare: «Preciso che vedendo male e corruzione
dappertutto nella Chiesa, sono arrivato negli ultimi tempi, quelli… della
degenerazione, ad un punto di non ritorno, essendomi venuti meno i freni
inibitori. Ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere
salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario. Inoltre nei miei interessi
c’è sempre stato quello per l’intelligence, in qualche modo pensavo che
nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo
in certa maniera un infiltrato».
7. In cause come quella in
discussione assumono un ruolo di peculiare importanza le perizie, nella cui
valutazione il Giudice è tradizionalmente guidato da due principi risalenti: il
primo secondo il quale "peritis in arte standum est" [cfr. G.
Mascardi, Conclusiones omnium probationum, vol. II, Augustae Taurinorum,
1597, concl. 1151, n. 12, f. 94r; concl. 1174, n. 1, f. 117r
e concl. 1214, n. 3, f. 156r], ed il secondo per il quale
"iudex est peritus peritorum". Come si è detto [cfr. supra, n.
2] in giudizio si hanno due perizie: quella d’ufficio, affidata al Prof. Dr. Roberto
Tatarelli [doc. 108/A del fascicolo d’ufficio] e quella del Secondo Perito,
nominato dall’imputato, Prof. Dr. Tonino Cantelmi [doc. 115/A del fascicolo
d’ufficio].
Le
operazioni peritali si sono articolate in tre colloqui clinici svolti
rispettivamente il 18 e il 21. VI e il 2. VII. 2012. Inoltre al periziando sono
stati somministrati alcuni reattivi mentali [Minnesota Multiphasic Personality
Inventory – 2; Millon Clinical Multiaxial Inventory – III (MCMI – III); Metodo
Rorschach – somministrato e siglato secondo Exner; Progressives Matrices 38
(Colonne C, D)].
Il Perito
d’ufficio, basandosi su molteplici ed accurati esami condotti sul periziando,
dopo aver tra l’altro annotato che «il pensiero [ dell’imputato] risulta
contraddistinto da marcati elementi di tipo persecutorio», così che «più volte
fa riferimento a complotti e macchinazioni a favore e/o danno di personaggi di
rilievo sia laici sia, più frequentemente, prelati», afferma: «Non si rilevano
disturbi di significato clinico sia nell’area attentiva, sia in quella
mnestica, sia nell’intelligenza. A tal proposito, però, nel corso dei colloqui,
si nota una povertà delle capacità associative e di quelle dell’astrazione con
un pensiero solo superficialmente complesso ma in verità piuttosto semplificato…
In conclusione dall’esame psichico non si rivelano segni o sintomi che possano
indicare una sindrome psichiatrica maggiore».
A
giudizio del Prof. Dr. Roberto Tatarelli questa condizione psicodiagnostica
dell’imputato Paolo Gabriele trova sostegno negli esiti dei reattivi mentali
impartiti al periziando dal suo collaboratore Prof. Dr. Paolo Roma che nelle
sue considerazioni conclusive puntualizza: «Il sig. Gabriele si caratterizza
per una intelligenza semplice in una personalità fragile con derive paranoidi a
copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno irrisolto di
godere della considerazione e dell’affetto degli altri. Accanto ad elementi di
sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del pensiero e
dell’azione (meticolosità, perseverazione), sentimenti di colpa e senso di
grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a favore di un personale ideale
di giustizia. La necessità di ricevere affetto può moderare i contenuti
paranoidi ma al contempo può esporre il soggetto a manipolazioni da parte degli
altri ritenuti suoi amici ed alleati».
Il Prof.
Dr. Roberto Tatarelli ritiene quindi di poter pervenire a queste conclusioni:
«Il periziando risulta caratterizzato da elementi marcatamente distonici della
personalità. Tali elementi non sono facilmente rilevabili all’esame psichico di
routine, ma emergono con ampia evidenza nel colloquio prolungato, libero
e a contestazione, nonché, ancor più efficacemente, dal risultato dei reattivi
mentali in tal senso si può affermare che il periziando sia affetto da
un’alterazione paranoide, con sfondo di persecutorietà, per lungo tempo
adeguatamente compensata nello stile di vita del sig. Gabriele».
Lo stesso
Perito d’ufficio Prof. Dr. Roberto Tatarelli aggiunge ancora nella sua
relazione peritale: «L’organizzazione di personalità del sig. Gabriele si
caratterizza anche per un profondo bisogno di ricercare attenzione e affetto da
parte degli altri. Il periziando riferisce in particolare di una sua grande
capacità comunicativa e di un enorme interesse ad intessere relazioni di tipo
amicale e confidenziale con altri dipendenti e con Prelati, anche di alto
rango, della Città del Vaticano. In questi rapporti egli verosimilmente andava
molto al di là di quanto avrebbe potuto riferire se si fosse attenuto ai suoi
limiti e ai suoi doveri di riservatezza impliciti nel suo ruolo istituzionale…
Questa condizione personologica è ulteriormente accentuata e rafforzata dalla
semplicità cognitiva riscontrata nel medesimo [periziando], confermata anche dal
risultato dei reattivi mentali somministrati».
Il Perito
d’ufficio può così sinteticamente rispondere ai tre quesiti postigli dal
Giudice istruttore [cfr. supra, n. 2]:
Al 1°:
«La condizione personologica riscontrata [nel periziando] non configura un
disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti».
Al 2°:
«In considerazione della pervasività della condizione personologica
riscontrata, si ritiene il periziando ancora socialmente pericoloso pur se
nello specifico ambito dei reati ascrittigli».
Al 3°:
«Tenuto conto dell’assetto personologico accertato, si considera il periziando
suggestionabile e quindi in grado di commettere azioni che possono danneggiare
se stesso e/o altri».
Il
Secondo Perito, Prof. Dr. Tonino Cantelmi, che ha partecipato alle operazioni
peritali condotte dal Perito d’ufficio, ritiene di poter affermare: «Gli
elementi conoscitivi tratti dall’indagine clinico-testologica sulla persona del
sig. Paolo Gabriele delineano un’organizzazione personologica affetta da una identità
incompleta ed instabile, da suggestionabilità, da sentimenti di grandiosità, da
alterata rigidità morale con un personale ideale di giustizia, nonché da un
bisogno di essere apprezzato e stimato. Tali aspetti personoligici hanno reso
il periziando fortemente inadeguato ad assolvere alle mansioni lavorative
ricoperte dallo stesso». Anzi, «l’incapacità del periziando di attenersi alle
sue specifiche mansioni è stata ulteriormente peggiorata dal suo personale
ideale di giustizia e dall’alterata rigidità morale dando vita a valutazioni,
considerazioni e comportamenti inappropriati al suo ruolo istituzionale».
Il
Secondo Perito annota ancora: «Il sig. Gabriele… proprio a causa della sua
inidoneità a tener presente la natura del proprio incarico lavorativo, sviluppò
un grave malessere psicologico caratterizzato da inquietudine, tensione, rabbia
e frustrazione, in quanto fortemente sensibile alle vicende che, con modalità
ossessiva, diventavano oggetto di indagine ed approfondimento da parte dello
stesso. Il periziando, inoltre, essendo caratterizzato da un marcato bisogno di
ricevere approvazione e considerazione, era incline ad allinearsi alle
richieste ambientali, diventando, in tal modo, soggetto di manipolazioni
esterne».
In questo
contesto psicodiagnostico il Secondo Perito, Prof. Dr. Tonino Cantelmi, può
così rispondere ai quesiti posti dal giudice istruttore:
Al 1°:
Tra l’altro in questa risposta si sottolinea: «Quanto emerso appare avere
assunto sul periziando il potere di sviluppare una deformazione dei processi
ideativi, fissità ideo-affettiva, rimuginazione, un esame alterato della
propria realtà personale ed ambientale che allo stato attuale e nel periodo
2011-2012 ha agito abolendo la coscienza e la libertà dei propri atti».
Al 2°:
«Gli accertamenti peritali svolti non hanno rilevato sul sig. Gabriele segni e
sintomi che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso».
Al 3°:
«Il periziando, pur essendo apparso suggestionabile su alcune specifiche
circostanze, non ha manifestato segni, sintomi e comportamenti che lo rendono
un soggetto socialmente pericoloso e dunque in grado di commettere azioni tese
a danneggiare se stesso e gli altri».
Anzitutto,
come si è annotato [cfr. supra, n. 5], l’art. 45 c. p. richiede
soggettivamente, al fine dell’imputabilità, e per ciò della colpevolezza,
l’attribuibilità delle fattualità materiali costituenti reato come atti umani;
una tale qualifica, in forza dell’art. 46 c.p., viene meno in caso di infermità
mentale tale da togliere «la coscienza o la libertà dei propri atti», così che
questi non possono più qualificarsi come umani. Dagli atti di causa [cfr. supra,
n. 6] risulta un espletamento corretto e diligente delle mansioni lavorative
che svolgeva l’imputato Paolo Gabriele, a giudizio non solo di chi lo conosceva
ma, soprattutto, di quanti gli erano vicini nell’espletamento di quelle
attività o le dirigevano.
D’altra
parte diventa difficile considerare come non umane le fattualità
criminose delle quali, nonostante le giustificazioni, l’imputato sentiva, con
la gravità delle conseguenze che ricadevano su altri, il disvalore così da
avvertire il bisogno del consiglio del proprio Padre spirituale dal quale
riceveva pace e tranquillità di coscienza.
In questo
complesso contesto fattuale e legale, non altrimenti da quanto sostiene anche
il Promotore di giustizia nella sua requisitoria [doc. 159 del fascicolo
d’ufficio], appaiono più persuasive di quelle del Secondo Perito [cfr. doc.
115/A del fascicolo d’ufficio], le conclusioni del Perito d’ufficio Prof. Dr.
Roberto Tatarelli [doc. 108/A del fascicolo d’ufficio] il quale afferma che «in
conclusione dall’esame psichico non si rilevano segni o sintomi che possano
indicare una sindrome psichiatrica maggiore», cosicché «la condizione
personologica riscontrata non configura un disturbo di mente tale da abolire la
coscienza e la libertà dei propri atti». In definitiva si deve affermare la
sussistenza nell’imputato di una capacità di intendere e di volere tale da non
impedirne la imputabilità e la colpevolezza, anche se, eventualmente, spetterà
al Giudice di merito soppesarne l’esatta misura, in particolare alla luce
dell’art. 47 c.p.
D’altra
parte in presenza della perdurante posizione critica verso vicende e persone
che operano nella Chiesa e nello Stato della Città del Vaticano evidenziata
dagli atti di causa [cfr. supra, n. 6] ed altresì in presenza di
condizioni di manipolabilità personali ammesse, come si è visto, dalla stessa
relazione del Secondo Perito – anche se solo «su alcune specifiche
circostanze», che ne precisano quindi una delimitazione – diventa arduo, con il
Prof. Dr. Tonino Cantelmi, negare sia una pericolosità dell’imputato – anche se
circoscritta agli ambiti nei quali si è attuata la sua attività materialmente
delittuosa – sia una sua capacità di ideazione criminosa auto o etero-diretta,
ancorché nella sfera ristretta nella quale si è svolta la sua fattualità
delittuosa. In realtà sembra al Giudice istruttore condivisibile quanto in
proposito puntualizza il Promotore di giustizia nella sua requisitoria [doc. 159
del fascicolo d’ufficio] e cioè che si deve considerare «il Gabriele, di per sé
caratterizzato da una pericolosità specifica e relativa» e inoltre, nello
stesso ambito circoscritto, «soggetto suggestionabile e, come tale, in grado di
commettere anche azioni eterodirette che possono danneggiare se stesso e/o
altri».
8. Occorre ora soffermarsi sulla
posizione dell’altro imputato in stato di libertà provvisoria, il sig. Claudio
Sciarpelletti, alle cui vicende processuali si è già avuto occasione di fare
cenno [cfr. supra, n. 1]. Il 25. V. 2012, con l’autorizzazione del
Promotore di giustizia, si procedeva alla perquisizione dell’ufficio del sig.
Claudio Sciarpelletti.
In un
cassetto della scrivania indicato dallo stesso sig. Claudio Sciarpelletti [cfr.
deposizioni dei testimoni D e L, rispettivamente doc. 109 e 134 del fascicolo
d’ufficio] veniva rinvenuta – secondo quanto si legge nel verbale di
interrogatorio e di arresto dello stesso imputato Claudio Sciarpelletti redatto
dalla Polizia Giudiziaria [doc. 1 all. 4 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen.
Pen.] – «una busta bianca formato medio, chiusa, con su scritto sulla parte
davanti "Personale P. Gabriele" e sul retro, riportante il timbro a
secco bleu della Segreteria di Stato – Ufficio Informazione e Documentazioni»,
contenente alcuni documenti. In special modo nella busta sequestrata si è
trovato anche materiale pubblicato nel libro di Gianluigi Nuzzi "Sua
Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI", in particolare lo scritto
denominato "Napoleone in Vaticano".
Occorre
osservare come l’imputato Claudio Sciarpelletti abbia tenuto, nel caso degli
interrogatori ai quali è stato sottoposto dalla Polizia Giudiziaria [doc. 1,
all. 1, 4 e 5 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.], dal Promotore di
giustizia [cfr. doc. 2, del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.] e dal
Giudice istruttore [cfr. doc. 94 del fascicolo d’ufficio] un atteggiamento
variabile e altalenante, già per quanto si riferisce al suo rapporto con
l’imputato Paolo Gabriele. In proposito, nelle dichiarazioni spontanee rese
alla Polizia Giudiziaria, se in quelle del 25. V. 2012 anteriori alla
perquisizione del suo ufficio aveva parlato di una semplice conoscenza con
rapporti di natura unicamente lavorativa [doc. 1, all. 1 del fascicolo prot. N.
19/12 Reg. Gen. Pen.], in quelle, pur dello stesso giorno, ma successive a
quella perquisizione, aveva affermato che, ancorché tra loro non vi fosse una
grande amicizia, aveva intrattenuto con lui «uno scambio di opinioni» [doc. 1,
all. 4 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.]. Nell’interrogatorio poi
davanti al Giudice istruttore del 28. VI. 2012 [doc. 94 del fascicolo
d’ufficio] l’imputato Claudio Sciarpelletti ha affermato di avere tenuto con
l’imputato Paolo Gabriele, dopo che questi era divenuto Aiutante di Camera del
Sommo Pontefice, numerosi rapporti di lavoro, aggiungendo: «Ho avuto occasione
di scambiare con lui circa tre e-mail e una ventina di sms. Una volta siamo
andati con le famiglie a consumare insieme un gelato e un’altra volta insieme
ad altri colleghi abbiamo partecipato ad una gita presso i giardini di Castel
Gandolfo. Una volta è anche venuto con la famiglia a vedere la mia casa.».
A
proposito della documentazione sequestrata, l’imputato Claudio Sciarpelletti
forniva una prima versione dei fatti nelle dichiarazioni spontanee rese alla
polizia giudiziaria dopo la perquisizione del suo ufficio il 25. V. 2012:
«Questa busta me l’ha data Paolo Gabriele circa un paio di anni fa, non ne sono
matematicamente certo. Con Paolo non ho una grande amicizia ma vi è uno scambio
di opinioni e per questo mi ha consegnato tutto il materiale contenuto nella
busta affinché io gli esprimessi un parere. Preciso che quando Paolo mi ha dato
la busta, questa era chiusa, e completamente in bianco, solo nella parte
retrostante vi era il timbro a secco della Segreteria di Stato – Ufficio
Informazioni e Documentazioni. Non so chi avesse applicato questo timbro,
presumo che ce l’abbia messo Paolo. Era mia intenzione aprirla e leggerla, ma
non l’ho mai fatto perché la cosa non mi interessava più di tanto, e a distanza
di tanto tempo me ne sono dimenticato. Dopo pochi giorni ho scritto sul davanti
la dicitura "Personale P. Gabriele" riproponendomi di leggerla
successivamente. Fino a oggi, quando i Gendarmi sono venuti nel mio ufficio, è
rimasta sempre nel cassetto della scrivania, né Paolo me l’ha più richiesta,
come pure non mi ha mai più chiesto il parere che dovevo esprimergli».
Una
seconda versione viene fornita nelle dichiarazioni spontanee rese alla stessa
Polizia Giudiziaria il giorno successivo 26. V. 2012 [doc. 1, all. 5 del
fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.] e più tardi confermate davanti al
Promotore di giustizia [doc. 2 del fascicolo prot. N. 19/12 Reg. Gen. Pen.]:
«Dopo aver passato la notte a riordinare le idee posso precisare che la busta
che avete sequestrato e che era all’interno della mia scrivania non mi è stata
consegnata dal sig. Paolo Gabriele e la scritta "Personale P.
Gabriele" è stata da me apposta. La busta era integralmente chiusa con timbro
della Segreteria di Stato. Questa busta non mi fu consegnata da Paolo Gabriele,
ma da W affinché io la conservassi e la consegnassi a Paolo Gabriele. La busta
mi è stata consegnata circa 2 anni fa ed è rimasta sempre chiusa e nella mia
scrivania. Francamente io me ne ero dimenticato in quanto nessuno me l’aveva
chiesta. Preciso che ho apposto la dicitura "Personale P. Gabriele"
affinché potessi ricordare a chi era destinata. Né W né Paolo Gabriele non mi
hanno mai chiesto conferma dell’avvenuta consegna della busta. Per questo
motivo me ne sono dimenticato».
Nell’interrogatorio
davanti al Giudice istruttore del 28. VI. 2012 [cfr. doc. 94 del fascicolo
d’ufficio], l’imputato Paolo Sciarpelletti, dopo aver precisato che la vicenda
risalente agli anni 2009-2010 aveva avuto inizio da una richiesta fattagli
dall’imputato Paolo Gabriele di incontrare W e, suo tramite, di conoscere Y
così che si era avuto un duplice scambio di buste da «Paolo Gabriele da
consegnare a W e da W per Paolo Gabriele», in riferimento alla documentazione
sequestratagli asserisce: «Presumo, ma non ne sono assolutamente certo,
nonostante i miei tentativi di ricordare con certezza la vicenda, che si tratti
della busta affidatami da W per Paolo Gabriele». Il medesimo imputato – ciò che
può destare una qualche perplessità – pur ammettendo che la consegna di una
tale documentazione costituisse un fatto eccezionale, nello stesso
interrogatorio del 28. VI. 2012 afferma di averla dimenticata senza conoscerne
i contenuti nella sua scrivania, non avendo dato peso alla cosa in se stessa ed
essendo stato preso dalla molteplicità dei suoi impegni d’ufficio.
Per parte
sua l’imputato Paolo Gabriele nel suo interrogatorio del 21. VII. 2012 [doc.
142 del fascicolo d’ufficio] ha affermato di essere stato lui, per averne un
parere – pur se lascia dubbiosi la richiesta di valutazione su persone che,
salvo per quanto attiene al documento relativo al Corpo della Gendarmeria, lo
stesso Sciarpelletti nel suo interrogatorio del 28. VI. 2012 [doc. 94 del
fascicolo d’ufficio] dice di non conoscere – a consegnare la documentazione
all’imputato Claudio Sciarpelletti con il quale precisa inoltre di avere un
rapporto di amicizia dovuto alle frequentazioni di servizio e con il quale –
aggiunge – «ci incontravamo anche fuori e con le famiglie anche a casa dello
Sciarpelletti».
Avendogli
poi il Promotore di giustizia ricordato di essere stato anche tramite della
consegna all’imputato Paolo Gabriele di una busta datagli da X ed essendogli
stato chiesto il perché si fosse pensato a lui, l’imputato Claudio
Sciarpelletti precisa: «X ha pensato a me nell’affidarmi questa busta per le
mie frequentazioni della Segreteria del Santo Padre. Tanto più che quando ciò
accade è proprio Paolo Gabriele che mi accompagna» [interrogatorio del 28. VI.
2012, doc. 94 del fascicolo d’ufficio].
Un
attento esame degli elementi che emergono dagli atti di causa porta ad
escludere la sussistenza di qualsiasi traccia riguardante il reato di cui
all’art. 159 c. p. relativo alla violazione del segreto epistolare. Troppo
labili e vaghi appaiono anche gli indizi relativi al reato di concorso nel
furto aggravato di cui è accusato il sig. Paolo Gabriele, ai sensi degli art.
63 e 402 e seg. c.p., così da far ritenere che non siano sufficienti le
condizioni necessarie per un giudizio.
Occorre
invece verificare con attenzione l’altra ipotesi delittuosa imputata al sig.
Claudio Sciarpelletti riguardante il reato di favoreggiamento previsto
dall’art. 225 c. p. per «chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale
è stabilita una pena non inferiore alla detenzione, senza concerto anteriore al
delitto stesso, e senza contribuire a portarlo a conseguenze ulteriori, aiuta
taluno ad assicurarne il profitto, a eludere le investigazioni dell’Autorità,
ovvero a sottrarsi alle ricerche della medesima o alla esecuzione della
condanna, e chiunque sopprime o in qualsiasi modo disperde o altera le tracce o
gli indizi di un delitto che importi la pena suddetta».
Una
simile norma prevede due diverse ipotesi delittuose. Una prima fattispecie – di
natura oggettiva [favoreggiamento reale] ha lo scopo di impedire una
collaborazione volta al consolidamento decisivo dei vantaggi determinati dalle
attività criminose. La seconda, invece – di natura soggettiva [favoreggiamento
personale] – è soprattutto indirizzata a salvaguardare una corretta
amministrazione della giustizia e. per ciò, una attuazione lineare del processo
penale.
In questa
seconda ipotesi delittuosa rientra l’elusione delle investigazioni da parte
della Autorità alle quali queste sono affidate dalla legge. A proposito di una
simile fattispecie è stato scritto: «La ipotesi in esame deve riguardare il
fatto che le ricerche dell’Autorità che si vogliano rendere vane [o comunque
che si intendono ostacolare], siano dirette, non alla ricerca
dell’Autore del fatto principale…, ma alla constatazione di circostanze
o di indizi riguardanti la colpevolezza dell’Autore medesimo» [G. Crivellari, Codice
penale, op. cit., vol. VI, Torino, 1895, p. 670].
In questa
prospettiva le contrastanti versioni dei fatti fornite dall’imputato Claudio
Sciarpelletti possono aversi come un intralcio alle indagini. Considerato che
dagli atti di causa risulta che non vi è stato concerto tra gli imputati Paolo
Gabriele e Claudio Sciarpelletti e che quest’ultimo non ha portato ad ulteriori
conseguenze il reato del quale è accusato il primo imputato, si può ritenere
che sussistono ragioni sufficienti per sottoporre a giudizio per il reato di
favoreggiamento l’imputato Claudio Sciarpelletti.
9. P. Q. M.
In conformità
con le richieste avanzate dal Promotore di giustizia nella sua requisitoria;
visti gli
art. 265 e seg. c.p.p.;
dichiara
la
parziale chiusura dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 265 seg. c.p.p.;
dispone
il
sequestro giudiziario della documentazione prelevata dalla Polizia Giudiziaria
il giorno 23. V. 2012 a seguito di perquisizione personale e locale
nell’abitazione del cittadino vaticano sig. Paolo Gabriele stabilendo che la
conservazione, con le garanzie e gli obblighi di legge, sia posta presso i locali
del corpo della Gendarmeria a disposizione dell’Autorità giudiziaria,
nominandone custode il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile
con facoltà di delega ad un ufficiale del Corpo della Gendarmeria, ai sensi
degli art. 237 e seg. c.p.p.;
rinvia
il signor
Paolo Gabriele a giudizio davanti al Tribunale per il reato di furto aggravato
ai sensi degli art. 402, 403, 1° e 404, 1° c.p.;
dichiara
non
doversi procedere nei confronti dell’imputato Claudio Sciarpelletti per il
reato di violazione del segreto, ai sensi dell’art. 159 c.p., per carenza di
prova e per il reato di concorso nel reato di furto aggravato, ai sensi degli
art. 63, 402, 403, 1° e 404, 1° c.p., per insufficienza di prove;
rinvia
il sig.
Claudio Sciarpelletti a giudizio davanti al Tribunale per il reato di
favoreggiamento ai sensi dell’art. 225 c.p.
Si
notifichi al Promotore di giustizia, agli imputati ed ai loro difensori ed al
Corpo della Gendarmeria.
Città del
Vaticano 13 agosto 2012
Prof. Avv. Piero Antonio Bonnet
[01054-01.01]
[Testo originale: Italiano]
[B0461-XX.01]
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